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Potere alla parola

Al Teatro Astra di Torino l'importanza del nome proprio

Le prénom: nome di battesimo, etichetta indelebile di un’intera esistenza, parola che reca in se stessa l’identità della persona che la porta. Lo sa bene chi deve decidere il nome di un bambino che sta per nascere, un nome che lo accompagnerà per sempre e che si farà carico delle sue vittorie come delle sue sconfitte, dei riconoscimenti e delle colpe.

Decisamente abbastanza, dunque, per intessere una commedia intorno a un fraintendimento, precisamente quell’equivoco che nasce dall’aver creduto allo scherzo di cattivo gusto di Vincent (Aldo Ottobrino), uomo in carriera sulla quarantina, di voler chiamare il figlio nascente “Adolph”, anziché con il nome del padre (come peraltro pattuito con la moglie Anna, Gisella Szaniszlò). I francesi sono maestri nella commedia dell’equivoco, la pochade, e questo testo di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière mantiene la tradizionale qualità, che non perde niente nella versione italiana curata da Fausto Paravidino.

Il gioco degli equivoci si basa sulla routine (termine in prestito dal francese non a caso) che inganna lo spettatore di poter demarcare con precisione le circostanze degli eventi rappresentati: il salotto di una casa su cui non c’è alcun sipario, un’atmosfera domestica, “normale” come qualunque spettatore è abituato a vivere quotidianamente. Normale, se non fosse per l’inquietante presenza di quel personaggio, Vincent, che per primo appare in scena e funge per alcuni minuti da voce narrante, senza che la sorella Elisabeth (Alessia Giuliani) e il cognato Pierre (Alberto Giusta) possano accorgersi della sua (non) presenza: Vincent sorride beffardo, con il sorriso di chi sa cosa sta per succedere, di chi già conosce il finale. Se questo fosse un giallo, sembra intendere con quell’espressione sagace, io potrei dirvi il nome dell’assassino.

Eppure Le prénom non è un poliziesco né un grand guignol (giusto per omaggiare un altro genere di cui il rimato francese), quanto piuttosto il dramma dell’incomprensione: tutti gli invitati a casa di Elisabeth e Pierre serbano qualche rancore o qualche segreto che lo scherzo innocente di Vincent porterà allo scoperto: è così che l’amico Claude (Davide Lorino) rivela la propria relazione con la madre dei due fratelli.

Non è un caso neppure che i padroni di casa siano un docente (Pierre) e una professoressa (Elisabeth) di letteratura francese: l’accanito diverbio che esplode sin dal minimo pretesto del nome Adolph, scandalosamente assonante con quell’Adolf di sciagurata memoria storica, si protrae sino alla fine nel tentativo di determinare in quale misura l’identità abbia a che fare con la parola che la descrive. I cinque personaggi rivestono ruoli ben definiti sul palco, nettamente inseriti in una vicenda che altrettanto nettamente ribalta i loro ruoli – e le loro identità – in una girandola di fraintendimenti che diventano pretesti per portare a galla rancori latenti.

Un dramma dell’equivoco reinterpretato, in questa produzione del Teatro Stabile di Genova, in chiave farsesca, strappando qualche sonora risata a una platea che forse non ha nessuna intenzione di cambiare opinione sulla propria idea di “casa”, il teatro della routine quotidiana.

Eppure, la casa della coppia di letterati francesi non è altro che una rappresentazione teatrale; ma non è la casa, allo stesso modo, soltanto ciò che definiamo con tale nome?

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Le prénom

di Matthieu Delaporte e Alexandre de La Patellière

versione italiana Fausto Paravidino

regia di Antonio Zavatteri

produzione Teatro Stabile di Genova

con Alessia Giuliani, Alberto Giusta, Davide Lorino, Aldo Ottobrino e Gisella Szaniszlò

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