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Teatro dell’Opera di Roma, “Il viaggio a Reims” versione tableaux di Michieletto

Arte e metateatralità nel bellissimo allestimento dell’opera di Rossini in scena a Roma

Foto di Clarchen & Matthias Baus

Dopo Ronconi e Sagi arriva Damiano Michieletto: Il viaggio a Reims di Rossini ripensato dal lanciatissimo regista veneziano, prodotto nel 2015 per il De Nationale Opera di Amsterdam e andato in scena al Teatro dell’Opera di Roma, è un piccolo gioiello, uno spettacolo per gli occhi. Ed è stato salutato con successo dal pubblico romano.

Una cantata più che una vera opera, Il viaggio a Reims, composta nel 1824 in occasione dell’incoronazione del sovrano francese Carlo X e rappresentata l’anno successivo a Parigi.

Non c’è una vera trama? Un problema che poco pesa al regista che provvede immediatamente e re-inventare una sua drammaturgia con molta libertà, tanta ironia, divertimento, poesia, leggerezza mostrando come l’arte e la vista si sfiorino quasi a sovrapporsi.

È proprio l’arte il punto di partenza (dalla galleria) e di arrivo (all’inaugurazione della mostra con il grande quadro) di questo Viaggio a Reims che resta un allestimento di fascinoso impatto visivo esaltando il senso più puro dell’arte e della bellezza quasi fine a sé stessa.

Michieletto sposta immediatamente l’azione dalla Locanda del Giglio alla Golden Lilium, una galleria contemporanea dalle pareti con bianco abbagliante, contamina gli spazi e i livelli dei personaggi, li re-inventa.

Madama Cortese diventa la proprietaria della Galleria (in versione glamour stile Anna Wintour) Don Profondo diventa il curatore della galleria, Lord Sidney si trasforma in restauratore, Corinna da improvvisatrice diventa una studentessa d’arte-pittrice in vestito a pois, occhiali e treccia. Gli altri personaggi, gli aristocratici in procinto di partire vengono “spacchettati” nel museo e sono personaggi pirandelliani quasi sempre in déshabillé, in cerca di una loro collocazione, bloccati all’interno delle sale.

Dovrebbero partire da lì per una mostra (a Reims?), ma restano bloccati. Nel frattempo si consumano fra di loro intrighi e amori, gelosie e seduzioni proprio come voluto da Rossini con qualche libertà a vivacità drammaturgica inserita da Michieletto.

La perenne contaminazione fra realtà e metateatralità portata avanti con molta intelligenza e molto gusto regala qualche scena di pura bellezza, dall’incantevole danza delle Tre Grazie al duetto – contrasto amoroso fra il conte di Libenskof e la marchesa Melibea “raddoppiati” nei loro comportamenti da due adolescenti in visita al museo.

Il colpo di teatro arriva proprio con la discesa in scena della grande tela (ancora impacchettata) nel momento del concertato e con l’entrata dei personaggi all’interno del quadro stesso.

In qualche momento la scena (bellissima di Paolo Fantin arricchita dai costumi di Carla Teti) sembra quasi sovraffollata fra i diversi piani che si sovrappongono fra personaggi reali e irreali sospesi fra sogno, realtà e metateatralità, ma Michieletto mantiene sempre un tocco leggero e ironico. Se nella prima parte a tratti tende a saturare di tanto in tanto la scena (anche con i personaggi di quadri celeberrimi di Velasquez, Magritte, Botero, Khalo, Picasso, Haring o Goya), la seconda parte è più misurata con i battibecchi degli aristocratici che via via conquistano il loro abito e la loro collocazione nella tela di Gérard prendendo posto a rallentatore in una sorta di incantevole tableaux finendo per inverarsi nella vera tela come l’opera d’arte che sembra sparire non appena è compiuta.

Scritta per prime parti eccezionali, la partitura del Viaggio si fregia della presenza di un ottimo cast (ripreso in parte da Amsterdam) che si contraddistingue non solo per la voce, ma anche per le capacità interpretative, indispensabili in un allestimento del genere: si va dall’eleganza di Nicola Ulivieri (Don Profonfo) alla sensualità di Anna Goryachova – Melibea, dal tocco buffo del Barone di Trombonok di Bruno De Simone al virtuosismo sicuro di Maria Grazia Schiavo – Contessa di Folleville fino alla splendida Mariangela Sicilia – Corinna.

È lei a chiudere l’opera sulle meravigliose note dell’arpa esaltando e celebrando il sovrano e qui Michieletto gioca si nuovo sul contrasto dopo aver trasformato Corinna in personaggio reale (e un po’ dimesso) rispetto i personaggi che hanno acquistato il loro posto di diritto e la loro dignità si trasformano nel quadro stesso di Gérard cedendo il posto alla “vera” tela nell’apoteosi fra vita e arte.

Anche la musica viene in qualche modo ben “asservita” alla drammaturgia voluta da Michieletto e Stefano Montanari, direttore d’orchestra rock con anfibi e impegnato al fortepiano, dialoga con ironia con i cantanti, offrendo un’interpretazione fantasiosa, ma convincente della partitura pur coprendo di tanto nella prima parte parte le voci dei numerosi cantanti.

Un grande successo per un allestimento all’insegna della metateatralità le cui recite romane sono state dedicate al musicologo statunitense Philip Gossett, autorevole studioso (anche) delle opere di Rossini, scomparso solo pochi giorni prima.

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