Dopo esser stato presentato per anni a Parigi e in tutta la Francia, “Io, Caravaggio” arriva a Milano in una nuova versione.
“L’essenziale per me era di aver incontrato un personaggio in carne ed ossa: un uomo che si racconta e si mette a nudo. Un ribelle votato all’autodistruzione. Un artista alla perenne ricerca della perfezione. Un essere violento ma allo stesso tempo fragile, seducente e sconvolgente come lo sono i personaggi dei suoi dipinti.” Cesare Capitani
In un’atmosfera sognante e raccolta in una piccola sala del teatro Franco Parenti, assistiamo alle incredibili vicende personali del Caravaggio, intrinsecamente legate alla sua arte: la personalità dell’artista infatti è indissolubilmente legata alle sue opere. Caravaggio era un uomo fragile, irrequieto, si lasciava trascinare dalle sue passioni e dai suoi sentimenti, non era capace di scendere a compromessi o adattarsi alla morale comune e allo stesso modo sono i suoi quadri, appassionati, violenti, sensuali e con un grande contrasto tra luce e ombra: il chiaroscuro. Ed è proprio piena di chiaroscuri la vita del pittore, che prima diviene il più grande artista di Roma, richiesto dai personaggi più influenti, poi cade in disgrazia, si macchia di un delitto, è costretto a fuggire, diventa un reietto. Non sarà mai un personaggio convenzionale: è bisessuale, abituale frequentatore di bassifondi assassini e prostitute, tanto da utilizzare proprio questi personaggi come protagonisti delle sue opere, anche destando scandalo come quando utilizzò una prostituta affogata come modella per “Il compianto della Vergine”. Le sue scelte così estreme lo porteranno a dover vivere spesso in fuga e infine a una morte misteriosa.
La storia della sua vita è portata in scena magistralmente dal regista Cesare Capitani ispirandosi al romanzo di Dominique Fernandez “La Course a l’abime”, una biografia romanzata che il regista ha trovato la più ispirante tra tutti i testi riguardanti il pittore. La storia viene raccontata da due voci, quella di Cesare Capitani stesso e quella di Letitia Favart che rappresentano le due energie presenti nella storia, un’energia più irruenta e una più delicata, tanto da rappresentare proprio fisicamente sul palco una contrapposizione che fu propria della vita dell’artista. Durante lo spettacolo i quadri dell’artista non vengono mostrati, ma solo evocati e descritti: avrebbe forse avuto un impatto maggiore sullo spettatore vederli proiettati sul palco, cosa che sarebbe stata ancora più affascinante grazie all’atmosfera in penombra che offriva la sala. Sicuramente subito dopo lo spettacolo si esce colpiti dalla storia dell’artista, anche sconvolti nel caso non la si conoscesse e si è subito presi da una grande voglia di vedere le sue opere: creare cultura, questo non può essere che un grande successo per uno spettacolo.
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di Cesare Capitani
ispirato al romanzo di Dominique Fernandez La Course à l’abîme – Edizioni Grasset
con Cesare Capitani e Laetitia Favart
produzione Prisma