Per il sedicesimo anno consecutivo torna al teatro Belli il festival “Trend, nuove frontiere della scena britannica”, col sostegno del Ministero dei Beni Culturali e della Regione Lazio.
Da ottobre a dicembre, sedici titoli di autori anglosassoni vengono portati in scena da registi italiani, attingendo alla produzione contemporanea ispirata alle innumerevoli sfaccettature esistenziali dei rapporti privati e sociali del mondo moderno.
Abbiamo assistito all’allestimento del testo che il giovane drammaturgo britannico Sam Steiner ha scritto per il debutto della sua compagnai di nuova drammaturgia nel 2015, e che ha ottenuto molta buona stampa al Fringe Festival di Edimburgo.
Con la traduzione di Matteo Curtoni e Maura Parolini, la versione italiana è stata interpretata in anteprima nazionale da Loris Fabiani ed Elisa Benedetta Marinoni per la regia di Alessandro Tedeschi.
Ogni persona si avvale di circa 123 milioni di parole nella vita per esprimere tutta la gamma di sensazioni, pensieri, opinioni, sentimenti spesso in maniera sibillina e criptica o perfino equivoca. Cosa succederebbe se venisse fissato un numero massimo di vocaboli da utilizzare? Se questo limite fosse di 140 parole giornaliere bisognerebbe centellinarle in maniera ponderata, dicendo esattamente ciò che si vuol dire.
Bernadette e Oliver si sono conosciuti in un cimitero per gatti e si sono innamorati. Le relazioni precedenti si riflettono sul loro rapporto attraverso il linguaggio gergale che gli innamorati instaurano far loro, che solo la coppia è in grado di decodificare restando incomprensibile agli altri. Decidono così di non riciclare i vecchi stilemi ma creare un loro nuovo codice linguistico.
Anche la società ha un codice di comunicazione, il linguaggio, tanto più complesso quanto più la società è evoluta e quanto più alto è il livello di libertà d’espressione. Ma, spesso le parole sono mal utilizzate e diventano rumore.
Ecco, allora, che la legge fissa il numero di parole da utilizzare quotidianamente. Ma come si può lavorare, studiare, far valere i propri diritti, conoscere qualcuno, fare acquisti e amare? Sono a rischio la società, la democrazia, i rapporti umani? Oppure, bisogna adattarsi e aggirare l’ostacolo?
Bernadette è integrata, lavora in uno studio legale, è impegnata e distratta; Oliver contesta il sistema, è appassionato e sviscera i temi sociali. Litigano, si scontrano, si amano rovesciandosi addosso un fiume di parole contraddittorie e spiazzanti. Quando la legge, che Bernadette definisce della quiete e Oliver del silenzio, impone i suoi ferrei limiti, la coppia si inventa un codice stringato e stenografico che deve conciliarsi col numero di parole già utilizzato al lavoro, senza sprechi.
Così, bisogna interrogarsi sul valore delle parole e di ciò che rappresentano, in un ondivago minuetto di sensazioni, ricordi, immagini veicolati dall’emotività contingente, dove non sempre ci si trova dalla stessa parte e non si esprimono gli stessi bisogni, col rischio che la crisi esploda, silenziosamente. Oppure succede che si siano risparmiate talmente tante parole durante il giorno che a casa, insieme, è bello farle volar via in libertà.
Paure e dubbi e ritrosie, agendo sulle proprie contraddizioni e diversità per urlare al mondo la propria esistenza o meditare in silenzio sul senso della vita.
Loris Fabiani ed Elisa Benedetta Marinoni si spendono incessantemente per delineare le fisionomie dei loro protagonisti, con totale verosimiglianza, assecondando la regia di Alessandro Tedeschi che conferisce un sapiente senso del ritmo.