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Omu Cani

Al T di Marco Maltauro di Roma fino al 26 novembre 2017

A Mazara del Vallo, nel trapanese, uno strano personaggio all’inizio degli anni Quaranta suscita molto scalpore. È un barbone, sembra si chiami Tommaso Lipari, ha scontato alcuni anni di galera nel carcere di Favignana dopo aver abbandonato la famiglia a Moncalieri dove era giunto dalla natia Tunisi.

Solitario, schivo, randagio accetta quello che gli viene offerto per carità solo se viene buttato a terra e da terra raccoglie anche il cibo, come un cane. Tale comportamento gli vale l’appellativo di “Omu Cani”, che man mano perde la connotazione dispregiativa per la ritrosia e l’umiltà che manifesta quando gli si rivolge la parola.

La curiosità serpeggia, chi ha paura via via si rinfranca, ci si accorge che il vagabondo ha maniere educate, parla un italiano perfetto e ha una grande abilità matematica al punto che i ragazzi gli chiedono spiegazioni e aiuto per i loro compiti.

Si vocifera di una macchina lussuosa giunta in paese dalla quale scendono cinque persone distinte che familiarmente lo sollecitano ad andare con loro, che si devono arrendere al suo rifiuto.

Comincia a circolare un muto sentimento di rispetto e commiserazione per quell’uomo dai trascorsi borghesi, colto e discreto, con una cicatrice sulla mano dove appoggia la sigaretta ricavata dai mozziconi raccattati per strada con la punta del bastone.

Un dubbio si insinua tra i mazaresi: l’aspetto smilzo, i capelli neri, la carnagione scura che lo facevano somigliare a un saraceno, la cicatrice, l’abilità matematica inducevano ad associarlo ad Ettore Majorana, il geniale fisico che aveva contribuito alla nascita della fisica moderna, sparito nel 1938. Nel 1973, quando Tommaso muore, al funerale solenne voluto dal Comune partecipano migliaia di cittadini.

Leonardo Sciascia si appassiona alla vicenda e studia il carteggio di Tommaso Lipari (o Ettore Majorana?), ma il giudice Paolo Borsellino esclude tale ipotesi analizzando le firme sul registro del carcere.

Davide Dolores scrive intorno alla vicenda un monologo intenso e coinvolgente che disegna tutte le sfaccettature dell’animo umano e attraversa le varie tipologie e caratterizzazioni dei paesani che si sorprendono, si interrogano, si immedesimano, si commuovono trascolorando dalla paura all’inquietudine e alla pietas per un essere che prospetta una diversa visione della vita. Il testo sottolinea la chiave di lettura della dualità tra ripulsa e fascinazione, emarginazione e integrazione, disprezzo e rispetto, ostilità e compassione esaltando il relativismo del punto di vista secondo il quale si può essere un clochard dignitoso o un genio che si mimetizza in un contesto in cui tutti siamo stranieri. L’umanità guardata dal basso, come per gli odierni migranti.

Raccogliendo i discorsi del padre che ha conosciuto il senzatetto, il mazarese Dolores ha approfondito le sue conoscenze su Majorana (fisico del mitico gruppo dei “ragazzi di via Panisperna” guidati da Enrico Fermi) e ne ha dato una rilettura drammaturgica coniugando le due vicende umane che presentano tante analogie. La sua interpretazione è ricca di chiaroscuri, in cui le diverse figure presentano peculiari sfaccettature sottolineate dal variare della postura e della tonalità timbrica in cui il dialetto siciliano veicola tutta la vasta gamma di espressività verbale sottolineata dalla mimica facciale.

Consulenza storica e drammaturgica di Pippo Dolores, musiche originali di Riccardo Russo.

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