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Il racconto addomesticato

Ancora una volta, a teatro il piacere di tornare bambini

Con Pinocchio e Alice nel Paese delle Meraviglie, il Teatro Stabile di Torino ospita nel cartellone della stagione 2017-2018 un altro classico della letteratura per l’infanzia. Rispetto al burattino collodiano di Christian La Rosa diretto da Antonio Latella, l’impatto scenico de Il Piccolo Principe è decisamente più intimo: è indicativa la scelta di allestire il piccolo teatrino presso la sala Pasolini del Teatro Gobetti, garantendo una dimensione contenuta e famigliare, quasi un salotto.

Il racconto di Antoine de Saint-Exupéry adattato per il teatro non perde nulla della sua potenza evocativa – nemmeno passando dal francese all’italiano e dall’italiano a qualche verso in siciliano, nel cauto rimaneggiamento operato da Giovanni Calcagno – esprimendo il rimpianto di un’infanzia perduta e dei valori di semplicità e trasparenza per sempre compromessi dall’età adulta.

La premessa che presenta Il Piccolo Principe – U Principuzzu Nicu nelle prime battute ricalca la dedica “al bambino che fu” l’amico di Saint-Exupéry, Léon Werth, ponendo immediatamente in primo piano il fulcro della rappresentazione. Non potrebbe essere altrimenti, d’altronde: accompagnano Calcagno in scena Luca Mauceri e Salvatore Ragusa, le cui desumibili età anagrafiche lasciano apprezzare una preparazione tecnica ineccepibile, degna di una consolidata scuola teatrale, ma che lasciano supporre che l’immedesimazione dei tre interpreti non fosse diretta tanto ai pittoreschi personaggi del racconto, quanto piuttosto allo stesso Saint-Exupéry nel suo redigere la storia.

Sembra una produzione “fatta in casa”, con gli interpreti impegnati anche nell’allestimento delle scene in legno e découpage (Ragusa, con Ignazio Vitali), nella composizione della raffinata colonna sonora (Mauceri), con il contributo fondamentale della realizzazione dei costumi di scena di Miriam Del Campo.

La trasposizione teatrale di Calcagno mantiene la dicotomia tra la fascinazione infantile e l’assurdità del pensare adulto, che all’epoca della pubblicazione, verso la fine della Seconda Guerra Mondiale, Saint-Exupéry espresse nei termini di semplicità e complicazione: nei suoi viaggi interstellari, il “semplice” principino si affaccia a mondi popolati di adulti soli e irrimediabilmente tendenti a complicare le cose, sino a giungere al pianeta Terra, sintesi di tutte quelle alienazioni che il Piccolo Principe ha incontrato lungo la sua strada.

Fedelmente al testo originale, l’episodio dell’incontro con la volpe segna il punto di arrivo: ormai consapevole della propria solitudine, il Piccolo Principe decide di addomesticare l’animale, “creare dei legami” secondo la definizione del termine concessa dalla volpe, ma anche “rendere domestico”, “portare in casa propria”.

U Principuzzu Nicu potrebbe sembrare il risultato di una riflessione di Calcagno, Mauceri e Ragusa sulla propria infanzia perduta. Nell’intento di “portare in casa” il capolavoro dell’autore francese, chissà che i tre attori siciliani non abbiano ritrovato la loro infanzia perduta, fatta di sogni e domande, di buone intenzioni e risposte semplici.

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Il Piccolo Principe – U Principuzzu Nicu

tratto da Antoine de Saint-Exupéry
testo e regia di Giovanni Calcagno
con Giovanni Calcagno, Luca Mauceri e Salvatore Ragusa
musiche di Luca Mauceri
scenografia Salvatore Ragusa e Ignazio Vitaliù
costumi di Miriam Del Campo
luci di Cosimo Pirata
Produzione
La Casa dei Santi

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