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Die lustige Witwe

Teatro La Fenice, Venezia, dal 2 al 13 febbraio 2018

Bisognava attendere Carnevale per assistere a quella che, senza peli sulla lingua, consideriamo la vera inaugurazione della stagione lirica 2017/2018. Archiviato infatti il deludente Ballo in maschera di novembre scorso, il Teatro La Fenice inserisce in cartellone a distanza di trent’anni un nuovo allestimento di Die lustige Witwe. I meriti di questa “vedova ritrovata” sono parecchi. In primis, la scelta di proporla non nella consueta versione italiana di Ferdinando Fontana, ma in lingua tedesca, facendone apprezzare l’autentica musicalità. Segue l’eliminazione di quelle interpolazioni che trasformano sovente questa snella operetta in un’interminabile baracconata. Via quindi i siparietti fiume Njegus-Zeta, via il can can e il Maxim’s, via qualsiasi dialogo triviale.

Ciò si deve all’intelligenza di Damiano Michieletto che ritorna a Venezia dopo l’emozionante Aquagranda del 2016. Il giovane regista si concentra sull’essenzialità della doppia vicenda amorosa, Hanna-Danilo e Valencienne-Camille. L’azione è spostata, con un colpo di genio, durante gli anni Cinquanta del secolo scorso nella Pontevedro bank del direttore Zeta, ormai sull’orlo del fallimento. Tema, quello della crisi finanziaria, d’estrema attualità in Italia che conferisce all’atmosfera una venatura di riso amaro. Zeta vuol far versare i soldi della ricca Hanna nelle sue casse, premendo affinché l’impiegato pontevedrino Danilo la convinca al matrimonio. La festa del secondo atto si fa in una balera con tanto di orchestrina, dove si balla il twist e si flirta, senza lasciarsi mancare la rissa tra ubriachi. La storia termina nell’ufficio di Danilo che, ancora sbronzo, sogna le grisetten uscire dagli schedari e sposa infine l’ex amata. Njegus parla poco e agisce molto. Più folletto che portaborse, è “custode degli intrecci e degli intrighi” per dirla con le parole del regista perché blocca e riavvia l’azione. Tutto trova coerenza nel discorso di Michieletto, senza alcun’arditezza, puntando più su corporeità e sentimento che sul macchiettistico. Perfetto il lavoro svolto sul rapporto Hanna-Danilo, un costante gioco al massacro di avvicinamenti e allontanamenti, sugli altri personaggi e sulle masse corali. C’è qualcosa della sua prosa, pensiamo a Il ventaglio goldoniano e L’ispettore generale, e di commedia hollywoodiana. Michieletto si conferma artista capace di grandi momenti di teatro, sapendo toccare anche le corde più intime dello spettatore.

Tale perfezione non esisterebbe senza le scene di Paolo Fantin, che nel terzo atto autocita la Zauberflüte veneziana del 2015, e i meravigliosi costumi di Carla Teti, a tratti audaci negli accostamenti cromatici. Funzionali il light design di Alessandro Carletti e le coreografie di Chiara Vecchi. Un plauso va al corpo di ballo, scatenato in danze rock and roll che nulla tolgono, alla faccia di chi si sente spaesato dal voluto anacronismo, alla potenza del valzer.

Stefano Montanari, al debutto nella direzione d’operetta, sceglie tempi incalzanti e dinamiche frizzanti, evitando eccessivi strascicamenti lì dove si rischia la melassa, ad esempio Lippen schweigen, senza però tralasciare personali letture dei momenti più lirici e sensuali, come il duetto Mein Freund, VernunftWie eine Rosenknospe. Si potrebbe fare qualche appunto sui volumi, che in parte non tengono in conto la piccolezza di alcune voci dispiegate, ma siamo certi che il rodaggio delle repliche li aggiusterà. L’Orchestra risponde con originale bonheur de vivre.

Nel ruolo della vedova Nadja Mchantaf, che possiede voce omogenea non particolarmente ampia, ma recita e balla benissimo. Il Danilo di Christoph Pohl è davvero azzeccato, privo di quel machismo di tradizione, poiché ridimensionato nei panni dell’impiegato, ma dal canto estremamente seduisant. Chi invece ha voce sicura in grado di sovrastare l’orchestra è Adriana Ferfecka, Valencienne appassionata e melanconica. Bravo Konstantin Lee, Camille de Rossillon corretto, ma dall’estensione limitata. La comicità infusa da Franz Hawlata nel barone Zeta compensa i limiti della voce inadeguata, stonata nel melologo iniziale e in discreta ripresa nel corso della recita. Karl-Heinz Macek è Njegus agile e instancabile. A Marcello Nardis e Simon Schnorr, rispettivamente St-Brioche e Cascada, Michieletto riduce le parti, risolte comunque egregiamente. Convincono William Corrò (Kromow), Roberto Maietta (Bogdanowitsch), Martina Bortolotti (Sylviane), Zdislava Bočkova’ (Olga), Nicola Ziccardi (Pritschitsch) e Daniela Baňasová (Praskowia). Le Grisetten, uscite da una musical comedy americana e dal canto appositamente sguaiato, sono Alessandra Calamassi (Lolo), Mariateresa Notarangelo (Dodo), Rossella Contu (Jou-Jou), Alessandra Gregori (Frou-Frou), Chiara Lucia Graziano (Clo-Clo), Krizia Picci (Margot).

Il Coro, diretto da Claudio Marino Moretti, è in splendida forma e partecipa con palpabile coinvolgimento alla drammaturgia.

Al termine, il pubblico tributa calorosi applausi al cast, alla direzione e alla squadra tecnica, lasciandosi prendere dall’entusiasmo della passerella finale.

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(Venezia, 2 febbraio 2018)

Die Lustige Witwe   

Operetta in tre atti

libretto di Viktor Léon e Leo Stein dalla commedia L’Attaché d’Ambassade di Henri Meilhac

musica di Franz Lehár

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Personaggi e interpreti:

Barone Mirko Zeta: Franz Hawlata

Valencienne: Adriana Ferfecka

Conte Danilo Danilowitsch: Christoph Pohl

Hanna Glawary: Nadja Mchantaf

Camille de Rossillon: Konstantin Lee

Visconte Cascada: Simon Schnorr

Raoul de St. Brioche: Marcello Nardis

Bogdanowitsch: Roberto Maietta

Sylviane: Martina Bortolotti

Kromow: William Corrò

Olga: Zdislava Bočkova’

Pritschitch: Nicola Ziccardi

Praskowia: Daniela Baňasová

Njegus: Karl-Heinz Macek

Lolo: Alessandra Calamassi

Dodo: Mariateresa Notarangelo

Jou-Jou: Rossella Contu

Frou-Frou: Alessandra Gregori

Clo-Clo: Chiara Lucia Graziano

Margot: Krizia Picci

Una signora: Francesca Poropat (2, 8, 13/2), Simona Forni (4, 10/2)

***

Maestro concertatore e direttore: Stefano Montanari

Regia: Damiano Michieletto

Scene: Paolo Fantin

Costumi: Carla Teti

Light designer: Alessandro Carletti

Coreografie: Chiara Vecchi

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Orchestra e Coro del Teatro La Fenice

Maestro del coro: Claudio Marino Moretti

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Nuovo allestimento Fondazione Teatro La Fenice in coproduzione con Teatro dell’Opera di Roma

Foto di Michele Crosera

 

 

 

 

 

Foto di Michele Crosera

 

 

 

 

 

Foto di Michele Crosera

 

 

 

 

 

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