Al Teatro Leonardo l’attrice ed autrice Annagaia Marchioro porta in scena la pièce liberamente ispirata al romanzo di Amèlie Nothomb, che racconta la storia di una ragazza affamata di cibo ed esistenza.
Una fame spietata di vita, anche quando quella vita appare odiosa, incompleta, insoddisfacente.
In una cucina a Venezia la protagonista parla di una fame non gradita, non voluta, una fame così immensa da toglierle ad un certo punto del suo percorso l’appetito, la curiosità, la vita; perché quando si smette di mangiare si è smesso anche di cercare ciò che ci fa restare qui, attaccati, avvinghiati alla speranza del Meglio. I vuoti, le lacune emotive a volte sembrano così incommensurabili da toglierle finalmente la fame, è troppo faticoso anche solo pensare ad iniziare a riempire quei buchi, quegli spazi inesplorati del proprio io.
Fame mia, è uno spettacolo dedicato a chi si sente alienato da un mondo che non si sente cucito addosso, a chi è costretto all’ascolto di luoghi comuni e di consigli impartiti da chi ci appare sempre migliore di noi, a chi fatica a credere di valere qualcosa, a chi non si sente mai sazio forse perché sentirsi pieni è un lusso per pochi eletti, come se l’appagamento fosse privilegio solo per alcuni.
In questo scenario la tragedia e la comicità si fondono, si amalgamano in un’ardita ricetta; si ride, ma una lacrima è pronta a scendere perché la disperazione di questa donna è un po’ la disperazione di tutti quelli che talvolta si sono sentiti niente, inetti, inadatti. Quella di questa sera è la rappresentazione di una crisi esistenziale, di una perdita, di una menzogna a cui ci educhiamo, a cui ci educano fin da bambini, perché i problemi a cui spesso andiamo incontro o che vengono sollevati da amici, parenti, colleghi, sono solamente un costrutto mentale di una società che troppo spesso ci vede con occhio critico, che tende all’isolamento e che ci fa sentire inspiegabilmente inappropriati, caratteristiche inconciliabili con la natura del nostro essere.
La pièce coglie perfettamente l’audace ironia per parlare di fame, di ostacoli, e di vincite; continui spunti di riflessione profonda vengono regalati allo spettatore al quale viene portato in scena un problema drammatico come l’anoressia con un intelligente sarcasmo, con leggerezza esprime quel disagio e quella paura di accomodarsi in una nuova fase di crescita fisica e mentale, immersi dentro un nuovo tempo dove all’improvviso ci si ritrova catapultati. Il dolore non chiede il permesso, ma possiamo dopo esserci persi, ritrovare.
Un monologo in cui Annagaia Marchioro sola con il suo ieri e il suo oggi ed intorno ad un tavolo di legno, dialoga un po’ con tutti noi facendoci venire fame di una bellezza autentica, un dialogo in cui l’attrice ed autrice tra episodi buffi ed altri commoventi tratteggia perfettamente l’incarnazione di un malessere comune a molti, il terrore di vedere la propria vita sfuggire via tra le mani, una vita che sembra non appartenerci e viviamo come spettatori della nostra catastrofe. Un’amarezza per la vita nonostante tutti i zuccheri che possono essere messi nel corpo che non sempre passa, perché è più in là di noi, è scavata in fondo al buio dove con non poca facilità cerchiamo di vederci meglio tra un fallimento e l’altro.
La scenografia di Maria Spazzo e le luci di Roberta Faiolo con semplicità e originalità creano un’atmosfera intima e familiare che sembra aderire perfettamente ai racconti dai mille colori e sapori dell’attrice.
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di Annagaia Marchioro in collaborazione con Gabriele Scotti
liberamente ispirato a Biografia della fame di Amèlie Nothomb
scene: Maria Spazzi
costumi: Erika Carretta
luci: Roberta Faiolo
regia: Serena Sinigaglia
aiuto regia: Daniela Arrigoni
Un progetto in collaborazione con Paolo Scotti