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Circus Don Chisciotte

Al Teatro Eliseo di Roma fino al 22 aprile 2018

Foto di Marco Ghidelli

In una stazione abbandonata sulla quale scheletrici lampioni diffondono una fredda luce giallognola, un girovago saltella appendendo lastre metalliche contenenti lettere verniciate che gli evocano scorci del suo paesello, esprimendosi in una singolare lingua napoletana.

Irrompe una sorta di clochard dalla parlata roboante che dichiara essere il professor Michele Cervante, discendente della progenie napoletana dell’autore del Don Chisciotte della Mancia, di passaggio a Napoli nel 1575.

Colto, visionario e deluso il professore scruta le ombre della notte ingaggiando una lotta ideale contro l’evoluzione tecnologica che stritola il mondo e lo disumanizza trasformando i cittadini in consumatori, a cui intende opporre la forza comunicativa della parola, portandosi dietro cataste di libri custodi del sapere e della capacità critica dell’intelletto, da salvare dalla furia predatrice della società contemporanea.

Nello spiantato vagabondo coglie l’innocenza primitiva di chi si è sottratto alle contaminazioni e lo nomina scudiero col nome di Salvo Panza, compagno di viaggio nell’avventura rivoluzionaria contro i nemici della libera espressione spirituale, che inquinano gli animi di chi ha sete di bellezza e giustizia.

Il sodalizio tra l’hidalgo colto e sognatore che vuole ristabilire il giusto ordine nel mondo attraverso la letteratura e lo scudiero genuino e privo di orpelli che si esprime in un idioma musicale e primitivo, crea assonanze intimiste espresse con fantasiosa leggerezza. L’analfabeta Salvo scoprirà di saper leggere le lettere dei suoi pannelli che compongono la parola “Amore”, sentimento che può redimere l’umanità dissennata riportandola alla saggezza primigenia.

Sul binario morto scorrono vagoni colorati da cui scendono stravaganti viaggiatori: una coppia di ristoratori falliti, un nobile veneto decaduto, la principessa siciliana Dulcinea appassionata di astronomia. Vitali ed eccentrici, i nuovi arrivati si raccontano in una mescolanza di siciliano, veneziano, spagnolo, francese, inglese intrecciati all’italiano, in una fantasmagoria di colori e voci con dialoghi dal costrutto ricercato e strambo pervasi di decadente malinconia.

La grottesca parata circense (costumi di Carlo Poggioli) si associa al rifiuto della colonizzazione tecnologica e confida nel potere coagulante della letteratura, tentando di mettersi in contatto telefonico con Amos Oz, Philip Roth, Luis Sepulveda, Daniel Pennac, Umberto Eco e poi ponendo i libri a terra per consentire di camminare al di sopra del fango, verso un nuovo avvenire: “Un libro si scrive ogni volta daccapo quando è letto con amore”.

Basterà il supporto dei grandi letterati a dare una sferzata alla deriva contemporanea e far trionfare l’amore? I bislacchi personaggi non si pongono l’interrogativo, la loro felicità si alimenta dal vivere oltre gli schemi, in un contesto onirico e senza tempo.

La stazione ferroviaria ideata da Nicola Rubertelli illuminata dalle livide luci di Nadia Baldi è lo spazio esoterico del sogno, dove spiriti che rifuggono dalla razionalità possono trovare sereno rifugio.

Ruggero Cappuccio ha operato una riscrittura dell’opera di Cervantes, riadattandola all’animo popolare e colto napoletano e alla lingua che attinge allo spagnolo e al francese delle dominazioni, per effettuare un viaggio al centro dell’uomo, inseguendo il miraggio di liberarlo dagli inutili artifici dei moderni mulini a vento. Oltre che autore, è anche regista e interprete allucinato e maestoso nell’arrotare la voce cavernosa di Cervante. Giovanni Esposito è un folletto agile di movimento e di parola. Giulio Cancelli, Ciro Damiano, Gea Martire e Marina Sorrenti gli altri interpreti.

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