A spolverare il sipario del Teatro Niccolini dopo la pausa estiva sono i Nuovi, la compagnia formata dai giovani diplomati al Corso per Attori Orazio Costa e in altre scuole di teatro italiane: Francesco Grossi, Filippo Lai, Athos Leonardi, Claudia Ludovica Marino, Luca Pedron, Laura Pinato, Nadia Saragoni, Erica Trinchera e Lorenzo Volpe. Quattro atti brevi di Eduardo collaudano il gruppo e inaugurano una stagione che li vedrà protagonisti non solo in scena, ma anche nella gestione dello storico teatro fiorentino. Il quale si riconferma, a due anni dalla riapertura a seguito del restauro, luogo di sperimentazione e di formazione. La regia è curata da Gianfelice Imparato, presenza abituale al Niccolini negli anni ’80-’95, quando via Ricasoli era sede della compagnia Granteatro di Carlo Cecchi. I testi scelti da Imparato – Pericolosamente, I morti non fanno paura, Amicizia e Uomo e Galantuomo – hanno in comune la drammaticità, come scrive lo stesso regista: sono brevi atti unici che descrivono una situazione dolorosa con occhio comico, che osservano la miseria umana attraverso una lente che non è impietosa, piuttosto disincantata. Quattro drammi, nell’accezione etimologica di “rappresentazione”, ancora senza la propensione verso il tragico che ha fatto propria nel tempo. Eduardo, e con lui tutta la drammaturgia napoletana, ha la capacità di equilibrare le due antiche categorie – il comico e il tragico – in un’unica messinscena. Il dialetto napoletano, altra peculiarità dell’opera di De Filippo, non è mantenuto in questa versione per i Nuovi con ragioni più che condivisibili che Imparato chiarisce: «i giovani attori hanno origini in varie regioni d’Italia e questo mi ha fatto pensare dal primo momento di farli recitare tutti in italiano anziché in un napoletano stentato ed inevitabilmente inverosimile […] ed è utile anche a dimostrare, se ancora ce ne fosse bisogno, che il teatro di Eduardo non è relegabile in un ambito regionale». Gli attori infatti parlano con inclinazioni dialettali diverse, senza intaccare la franchezza della battuta; la veracità partenopea non ha bisogno del proprio dialetto per arrivare al pubblico, è un aspetto intrinseco alla natura dello scrittore che traspare dalle parole più che dal loro accento. I testi scelti ne sono esempi perfetti, e la brevità ne accresce l’efficacia: un uomo che spara alla moglie per evitare le discussioni, l’elaborazione di un lutto, il sentimento di amicizia messo alla prova da una deludente verità, le difficoltà di una compagnia di teatranti fra la finzione scenica e i fraintendimenti della vita reale. Quattro circostanze verosimili, più o meno vicine all’esperienza di ogni spettatore, quattro momenti di vita in cui l’umanità manifesta la propria fragilità. Si ride, anche di gusto, e si prova tenerezza, compassione, pena. Mai rabbia, perché nei protagonisti si rivede noi stessi e non si può che commiserarsi. La scenografia è quasi del tutto assente: pochi corredi e oggetti di scena, di cui si occupano gli attori in prima persona, si limitano al necessario e lasciano spazio ai protagonisti. I Nuovi si dimostrano all’altezza del palco che calcano e del testo che interpretano, portando nel panorama teatrale fiorentino una ventata fresca di cui si sentiva il bisogno.