L’amore al tempo del tifo calcistico.
Romeo e Giulietta, non più Montecchi e Capuleti, ghibellini e guelfi, ma ancora e sempre archetipi dell’amore disperato e contrastato.
Gianni Clementi riambienta la tragedia shakespeariana nella periferia romana, introducendo nuovi motivi di rivalità tra tifoserie calcistiche veicolati con linguaggio coatto romanesco. In quartine a rima baciata, però, come nello stile del Bardo, facendo assurgere il dialetto da cabaret a lingua drammaturgica.
La storia è già stata scritta, il finale è noto e i due giovani sono destinati a incontrarsi e a innamorarsi anche nella società contemporanea, che ha perso valori e riferimenti ma coltiva ancora il senso di appartenenza per motivi soprattutto calcistici.
Sono Romeo l’ultrà romanista e Giulietta l’irriducibile laziale, figlio l’uno di Er Murena capo della tifoseria giallorossa e l’altra di Er Catena capo della tifoseria biancoceleste che tirano a pari e dispari per formare le squadre odiandosi profondamente. Incontratisi sulle curve dello stadio Olimpico, non possono sottrarsi al loro destino. Fede sportiva, rivalità, amore si intersecano in un disagio esistenziale in cui le pasticche servono per lo sballo e la domenica è il giorno in cui ognuno assume un ruolo con gli appellativi proletari di Er Cobra (Tebaldo), Er Poeta (Mercuzio), Er Colombia (Benvolio), Er Frate (Frate Lorenzo), Er Macarena (Paride), Jessica (la balia), il Sindaco (il principe di Verona) e poi Schizzo, Babbuino, Er Lumaca, Spadino.
Il contesto sociale, generazionale e linguistico è potenziato dalla rappresentazione corale che assembla i diversi tipi umani, che la regia dello stesso Clementi evidenzia enucleando la difficoltà di crescere, vivere ed amare quando l’aggregazione del gruppo dello stadio non ce la fa a proteggere dalla vita refrattaria a spocchia e tracotanza. I personaggi hanno personalità, verità, energia, abilità, lottano per un ideale morendo per amore.
I riferimenti popolari e gli stilemi sintattico-gergali, espressione di un mosaico umano, rendono naturale e spontanea la recitazione di un cast di eccezionale sintonia e affinità, veicolando l’inquietudine generazionale. La poetica universale shakespeariana diventa testimonianza sociale dal linguaggio incisivo e poetico.
Agili, atletici, instancabili, si scontrano, si insultano, si odiano, si amano, muoiono saltando in una scenografia (di Carlo De Marino) di ponteggi metallici che vive quasi di vita propria divenendo all’occorrenza il balcone da cui si affaccia Giulietta, curva nord e curva sud, cappella del cimitero. Bravi e affiatati tutti: Marco Prosperini (Er Murena), Stefano Ambrogi (Er Catena), Edoardo Frullini (Romeo), Giulia Fiume (Giulietta), Federico Le Pera (Er Cobra), Matteo Milani (Er Colombia), Luna Romani (Jessica), Luca Paniconi (Schizzo), Simone Pulcini (Er Lumaca), Daniele Locci (Spadino), Alessio D’Amico (Er Macarena), Federico Maria Galante, Kabir Tavani e Daniele Trombetti.
L’idea registica di far restare tutti i protagonisti in scena, seduti su un divano posto lateralmente quando non recitano, li rende alternativamente attori e spettatori mantenendo continuità di azione, anche durante l’intervallo a sipario aperto.
Nel finale, sulle note di “Un senso” di Vasco Rossi, ci si interroga sul senso di quelle morti. Perché, purtroppo, l’amore non vince contro la violenza di due colori differenti, eppure basterebbe “Volesse bene”.