Russia, associato ai riti della fertilità pagana e ai sacrifici umani. È un lavoro che dalla prima rappresentazione dei Ballet Russes di Diaghilev del 1913 ha ispirato creazioni di vario genere, firmate da Sir Kenneth MacMillan, Walt Disney (Fantasia) e Pina Bausch – solo per citarne alcune. Ed è proprio l’intensità della danza di Pina Bausch a cui sembra far riferimento la coreografa cinese Yang Liping, che porta il suo Rite of Spring in prima assoluta in UK per tre serate al Sadler’s Wells di Londra (coproduttore del lavoro).
Liping è nota in Cina come Peacock Princess (principessa pavone) dal suo cavallo di battaglia Spirit of the Peacock, ispirato alle tradizionali danze cinesi che hanno popolato la sua infanzia.
La sua compagnia mancava sul palco londinese dal 2016 e le recite riscuotono un discreto successo di pubblico nonostante il lavoro sia complessivamente discutibile.
La pièce si articola in tre parti.
La prima è una scena meditativa in cui il pubblico conosce i personaggi quando è ancora intento a prendere il proprio posto in sala: il sipario, infatti, è già alzato e mostra sul palco 12 figure femminili, immobili come statue e profondamente concentrate in preghiera mentre un monaco si aggira in scena spostando caratteri cinesi. La danza non comincia immediatamente, ma quando i personaggi iniziano a muoversi quasi non ce ne accorgiamo: il movimento infatti è lieve e generico (soprattutto di braccia e mani). A parte per le scenografie magnificenti (quasi da set cinematografico), questa prima parte non è particolarmente degna di nota.
La seconda scena coinvolge un enorme leone cinese nel quale si nasconde uno statuario danzatore/guerriero, successivamente impegnato con una figura femminile in un duetto lento e intenso – a tratti eccessivo – probabilmente volto a dispiegare il rito della fertilità associato alla primavera.
Solo nell’ultima parte ascoltiamo (finalmente) le note di Stravinsky. Non appena la musica ha inizio ritorna protagonista il corpo di ballo femminile, disposto in una lunga linea al centro del palcoscenico con i piedi immobilizzati in una staffa metallica, che limita gli spostamenti ma consente movimenti ondulatori del corpo di grande effetto, forse la parte migliore dell’opera.
Complessivamente il lavoro è di notevole impatto visivo ma non riesce a rendere il contenuto pienamente comprensibile, causa anche la labile connessione logica tra le scene.
Il pubblico tuttavia apprezza, e danzatori e coreografa sono accolti da grandi applausi al termine della serata. Letizia Cantù