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Teatro dell’Opera di Roma, “L’angelo di fuoco” di Prokof’ev nella visione di Emma Dante

Ultime recita della rarissima opera di Prokof’ev con la regia visionaria di Emma Dante e la trascinante bacchetta di Alejo Pérez, ultima replica oggi pomeriggio a Roma

L’angelo di fuocoIl diavolo? Certamente si addice, e non poco, ad Emma Dante alla regia potente e cupa di un’opera rara, se non misconosciuta, L’angelo di fuoco di Sergej Prokof’ev in scena al Teatro dell’Opera di Roma (ultima recita 1 giugno alle ore 18) in un nuovo allestimento del teatro capitolino con l’eccellente direzione musicale del maestro Alejo Pérez.

Cinque recite sempre affollatissime per un’opera in russo (con i sovratitoli), con la musica dirompente di Prokof’ev diretta con maestria analitica da Pérez (non a caso esperto di sinfonismo) e già apprezzato diverse volte a Roma (anche per Lulu di Berg, Il Naso di Shostakovich, Cenerentola di Rossini) che non teme di affrontare un’opera psicologica e ricchissima per dipingere “la forza della libido con i suoni” come ricorda il direttore, offrendo “la musica più forte che Prokof’ev abbia mai scritto per l’opera”.

Il direttore segue la partitura sollecitando alla perfezione l’orchestra e non lasciando mai un momento di pace allo spettatore continuamente travolto dalla musica e da un quantitativo enorme di strumenti, dai volumi molto alti (all’occorrenza) quasi a sovrastare (di proposito) le voci fino a precipitare verso il finale.

Pochissime le rappresentazioni dell’Angelo: tratto dall’omonimo romanzo di Brjusov non ebbe affatto vita facile. La composizione fu lunga e travagliata (dal 1919 al 1927), ritrovata solo dopo la morte di Prokof’ev e debuttò a Parigi in forma di concerto nel 1954. Pochissime le rappresentazioni anche in forma scenica, l’ultima delle quali nel 1966 al Costanzi.

Ma la visione di Emma Dante è portentosa, fra pulsioni, desiderio e visioni, senza rinunciare alla fisicità del suo teatro, è aderentissima alla musica senza tradirla mai in un equilibrio prezioso che trasforma l’opera in una cupa fiaba per adulti.

La ricchissima drammaturgia si costruisce intorno a una vicenda quanto mai movimentata ambientata nella Germania del ʼ500, che non risparmia duelli, premonizioni e stregonerie, monache, streghe e demoni.

Fulcro della storia è la tormentata Renata, donna ossessionata da un angelo – demone, alle prese con visioni, magia amore e desiderio, senso del peccato.

Le scene (non facili per cinque atti e sette quadri) del fidato collaboratore Carmine Maringola con le luci di Cristian Zucaro restituiscono un allestimento che poco o nulla a che a che fare con il richiamo storico (seppure evocato dai costumi di Vanessa Sannino), ma che lasciano precipitare lo spettatore in un mondo quasi viscerale e misterioso fra realtà e visioni demoniache.

Il risultato è sempre ipnotico: la musica è travolgente ed enfatizza le scene potentissime da un punto di vista estetico perché la regista riesce a trasmettere un incessante senso di disagio, inquietudine, angoscia che deriva non solo dalla consapevolezza della dicotomia di cui è vittima Renata, ma che viene concretamente e fisicamente realizzato dagli attori della Dante che danno corpo alle visioni, ora figure con i veli da sposa, ora demoniache figure con i lunghissimi capelli. La regista poi gigioneggia volentieri anche nel registro più grottesco dell’opera con Faust e Mefistofele in scena passando rapidamente e con autorevolezza da un tono all’altro.

Le scene spaziano dalle tombe dei Cappuccini ai richiami di De Chirico, fino agli ambienti degli interni più naturalistici. Ma tutto contribuisce a creare la sensazione di abisso in un confine labilissimo fra vita e morte a cominciare proprio dalla locanda con i letti-loculi e una nicchia al centro o con il convento popolato dalle monache (scheletri con abiti di porpora) e un Cristo ossuto con il volto di donna al centro della nicchia.

È qui che si consumano il violento finale dell’opera riletto con sguardo personalissimo dalla Dante: Renata non viene condannata sul rogo, ma precipita verso la morte come martire agghindata da madonna e trafitta da sette spade, liberandosi e annientando (finalmente) l’angelo-demone che l’ha ossessionata per tutta la vita.

D’altra parte è proprio il dualismo la chiave di lettura dell’opera secondo Emma Dante intenta ad alternare naturale e sovrannaturale, divino e demoniaco a cominciare da Madiel, che per la regista diventa proiezione del male e del bene, dell’amore e della passione carnale, ma talmente sui generis che (in bianco o in nero) è un danzatore di break dance che vede e vive il mondo quasi sempre capovolto, calpestando il cielo (e il divino).

In un dramma che la regista ha definito “più passionale che etico” con una sensualità di fondo e una passione carnale impossibile da gestire, tutti viene giocato sui contrasti: la vita e la morte, la duplice naturale di Madiel, angelo e diavolo, bianco e nero, l’amore e la passione, il paradisiaco e il demoniaco, ma anche la razionalità e l’irrazionalità, la realtà e la visioni. Le invenzioni di regia sono innumerevoli distribuite su un’imponente la massa che la regista si trova a gestire (12 cantanti, 8 attrici e 7 attori della sua compagnia, 44 artiste, e 8 artisti del coro), popolando, ma non sovraffollato mai il palco neppure nella concitata scena finale della possessione e del martirio. Non manca neppure qualche tocco personalissimo che travalica il libretto: gli attori della compagnia intrattengono durante i cambi di scena con siparietti e sequenze, leggono libri a voce bassa, si riuniscono come in preghiera per gli esercizi spirituali oltre ad incarnare le visioni di Renata. Un ruolo quasi massacrante che ha visto brillare a Roma il bravissimo soprano Ewa Vesin al debutto come Renata, fragile, forte, disperata creatura che si è distinta per una parte vocale molto difficile con tante sfumature vocali ed un’eccellente interpretazione.

Ultima recita di oggi con la specialista del ruolo, Elena Popovskaya. È affidata alla voce del tenore Leigh Melrose, specialista del repertorio del Novecento, la parte molto difficile del cavaliere Ruprecht, ambiguo individuo che vorrebbe approfittare della fragole Renata e finisce per proteggerla.

Maxim Paster è Mefistofele, Andrii Ganchuk è Faust, Goran Juri è l’Inquisitore, Mairam Sokolova è l’Indovina, Sergey Radchenko è Agrippa, tutti bravissimi. Ultime replica stasera ora 18, poi torna in scena al Costanzi la Cenerentola di Rossini (dall’8 al 13 giugno) nell’allestimento di successo di Emma Dante: nuovo cast con la direzione di Stefano Montanari. Info su operaroma.it.

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