Era il 2009 e il pluripremiato musical Kiss of the Spider Woman, uno dei capolavori degli anni ‘90, andava in scena dando il via alla fortunata collaborazione tra la Bernstein School of Musical Theater e il Teatro Comunale di Bologna. Due tra le maggiori realtà di formazione e produzione artistica della regione, due fucine di talenti e idee meravigliosamente messe in scena negli anni. Torna così in scena per festeggiare il decennale di questa collaborazione l’omonimo musical tratto dal romanzo del 1975 di Manuel Puig, ispirato alla più recente pellicola cinematografica firmata da Hector Babenco e scritto dalla fortunata coppia artistica formata da John Kander, autore delle musiche, e Fred Ebb, padre delle liriche. Ed è un’altra fortunata coppia artistica a mettere in scena in questa occasione Kiss of the Spider Woman, la stessa di dieci anni fa: Gianni Marras alla regia e Stefano Squarzina alla direzione d’orchestra.
Quando un allestimento funziona in tutto e per tutto si vede a colpo d’occhio, fin dai primi minuti della messa in scena si ha la percezione di assistere a qualcosa di tecnicamente altissimo. Dalle scene del TCBO dall’idea originale di Andrea De Micheli ai numerosissimi costumi di Massimo Carlotto, dalle sorprendenti coreografie di Gillian Elizabeth Bruce alle luci di Daniele Naldi e naturalmente alla bravura vocale e attoriale dei protagonisti, Kiss ot the Spider Woman trascina lo spettatore nell’Argentina proibizionista del 1975, all’interno di una vicenda socialmente complessa e politicamente impegnata che ribadisce l’importanza della solidarietà tra esseri umani, valore forse affatto scontato ai giorni nostri.
La cornice scenica che avvolge la vicenda si muove in due direzioni, una reale e una astratta. Il carcere entro cui sono reclusi i protagonisti urla la disperazione e la frustrazione di uomini che chiedono giustizia e libertà, soppressi da un sistema che li vuole asserviti e legittimamente torturati. Per rifuggire alle brutture della vita reale c’è la magia dei film, incarnata dalla sensualità e dall’estro di Aurora, diva del cinema le cui scene fanno da contrappunto ai tragici eventi che man mano precipitano fino al tragico epilogo. Il dualismo attraversa drammaturgicamente anche i rapporti tra i protagonisti. Luis Alberto Molina, omosessuale dichiarato e accusato di corruzione di minori che si rifugia in morbide vestaglie di seta e nel suo amato cinema per scappare alla grigia realtà carceraria e Valentin Arregui Paz, giovane prigioniero politico arrestato per attività sovversiva in fabbrica che legge Marx e sogna la rivoluzione per un Paese migliore. Mondi opposti che imparano a conoscersi dividendo la stessa cella, pochi metri quadri e tanto tempo libero in cui tentare un dialogo, imparare a fidarsi l’uno dell’altro, collaborare, fino forse ad innamorarsi. La continua contrapposizione tra la realtà e le scene cinematografiche della diva Aurora ricreate ad hoc da un ensemble coeso e coinvolgente rendono la visione dello spettacolo piacevole dal primo all’ultimo minuto in cui la Donna ragno, durante il musical solo una presenza aleatoria, si fa finalmente realtà reclamando quel che le spetta. Molina si sacrifica per amore in un’ultima, struggente e platealmente perfetta scena da film.
Un plauso speciale merita sicuramente la triade dei protagonisti: Simona Distefano, interprete sopraffina della diva Aurora e della Donna Ragno, versatile nei mille cambi scenici e musicali; Brian Boccuni, fisicamente possente e vocalmente graffiante nel suo prorompente Valentin e infine Gianluca Sticotti, un Molina etereo e volteggiante, meravigliosamente umano e commovente fino all’ultimo respiro.