con Matteo Pecorini, Rosario Terrone
e con la partecipazione di Claudio Ascoli nel ruolo di Bertolt Brecht
Scrittura scenica Claudio Ascoli e Sissi Abbondanza
Scene Sissi Abbondanza, Renato Esposito, Paolo Lauri
Esecuzione luci e suoni Gabriele Ramazzotti
Musiche originali Alessio Rinaldi
Produzione Chille de la Balanza
Voci
Helene Weigel: Vania Mattioli
Margarete Steffin: Chiara Zavattaro
Ruth Berlau: Beatrice Massaro
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“Dove niente sta al posto giusto, c’è disordine. Dove al posto giusto non c’è niente, lì c’è ordine”.
Bertolt Brecht, autore amaramente ironico e profondamente critico nei confronti dell’ordine costituito dei governi autoritari, fu un uomo apertamente contrario alle ottusità delle guerre e dei nazionalismi e segnò coscienziosamente il suo destino, finendo sulla lista nera di Hitler e abbandonando Berlino, dopo aver assaggiato personalmente e disapprovato aspramente le atrocità della guerra al fronte; la sua fuga itinerante lo portò da Praga a Vienna, a Parigi, fino alla Danimarca, mentre le sue opere venivano messe al rogo. Visse dunque, in prima persona, l’angoscioso esilio di quanti, loro malgrado, sono costretti a lasciare per la sopravvivenza la terra natale. Trascorse gran parte della sua vita sotto una lente di ingrandimento che scrutava con ostilità il suo pensiero e la sua opera, non trovando casa e radice che in se stesso. Ancora nel 1947, si trasferì da New York a Zurigo, perché accusato, dalla Commissione attività antiamericane, di comunismo.
Questa è una premessa doverosa e utile per addentrarsi nel cuore dell’opera “Dialoghi di profughi”, scritta dopo la fuga dal nazismo e testimone del profondo intreccio che lega la vita di questo autore alla sua produzione artistica, travagliata e assolutamente attuale; un dialogo sul tema del potere rivisitato dalla compagnia di teatro di ricerca Chille de la Balanza e messa in scena nella suggestiva e raccolta sede di San Salvi, attraverso un lavoro degno di attenzione che riesce a trasmetterne lo spirito vivo e appassionato di contenuti complessi, caricandolo efficacemente di tutta la drammaticità della storia di ieri, come di oggi.
Una condizione di precarietà tiene ancora in ostaggio tutta quella parte di umanità sospesa tra un passo e l’altro, in incerto incedere tra paura e coraggio, tra la vita e la morte, tra riflessione e rassegnazione, in un tempo in cui un passaporto sembra ancora concepito, per assurdo, come la parte più nobile di un uomo.
“E difatti non è mica così semplice da fare come un uomo. Un essere umano lo si può fare dappertutto, nel modo più irresponsabile e senza una ragione valida; ma un passaporto, mai. In compenso il passaporto, quando è buono viene riconosciuto; invece un uomo può essere buono quanto vuole, non viene riconosciuto lo stesso.”
Ines Arsì