venerdì, Aprile 19, 2024

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Romina Mondello in “Medea”

Dal 4 al 6 ottobre al Teatro Olimpico di Vicenza

Foto di Fabio Lovino

Procede con il quarto appuntamento della stagione Muoiono gli Dei che non sono cari ai giovani, la 72° edizione del Ciclo di Spettacoli Classici al Teatro Olimpico di Vicenza diretta da Giancarlo Marinelli.

A seguire l’esclusiva nazionale rappresentata dallo spettacolo di apertura della rassegna “Frammenti di memorie di Adriano”, la prima nazionale dell'”Apologia di Socrate” interpretata da Enrico lo Verso, e lo spettacolo on the road “Medea per Strada”, è infatti prevista una tragedia al femminile, sempre in prima nazionale: Medea, in scena il 4, 5 e 6 ottobre, è un progetto che vede nascere il confronto artistico tra Romina Mondello, giovane e talentuosa attrice, e il regista Emilio Russo. A loro, e a un nutrito cast di attori, è affidato il compito di dare voce alle parole attualissime della tragedia: e, come comunica il regista nelle sue note per l’allestimento dello spettacolo, “è lo stesso Euripide che dissemina tra le parole e le azioni della tragedia tracce di un percorso che arriva sino a noi, distratti e corrotti dalla perdita di un orizzonte etico, ma ancora sensibili, nonostante tutto e malgrado noi stessi, alla ricerca del senso e della direzione di quella cosa che continuiamo a chiamare umanità”.

Nell’adattamento di Euripide del mito di Medea il tradimento di Giasone, che intende sposare la figlia di Creonte, è appena avvenuto e Medea è già decisa a vendicarsi. Ripudiata e senza più casa, non può fare altro che inveire contro Giasone in un tumultuoso dialogo, stretta tra la pochezza morale del suo uomo, sposo di un’altra per interesse personale, e la lucida e dolorosa rabbia con cui gli rinfaccia l’aiuto per la conquista del vello d’oro nella Colchide che l’ha costretta ad abbandonare, senza più ritorno, la casa paterna. Il piano per mettere in atto la sua vendetta si sviluppa attraverso un successivo dialogo con Giasone nel quale Medea, il cui nome deriva dal verbo medomai (‘macchinare con astuzia, furbizia’), finge di volersi riconciliare a patto di evitare l’esilio ai figli. Per rafforzare la sua richiesta ella invia alla promessa sposa Glauce (che non appare in scena e il cui nome non è menzionato nella tragedia) un peplo e una corona d’oro che, in realtà, grazie alle sue arti magiche, ha trasformato in strumenti di morte. L’ultimo atto dell’atroce vendetta che Medea ha meditato lo compie sulle proprie creature in un’azione/narrazione concentrata in uno dei più grandi monologhi della storia del teatro, nel quale si alternano dubbio, destino e soprattutto si scontrano e incontrano thymos e bouleumata, ovvero passione e volontà. A Giasone non resta, nel finale della tragedia, che esprimere la propria rabbia frustrata contro gli uomini e gli Dei, mentre Medea sul carro alato si allontana verso il sole inaspettatamente salvata dagli Dei.

[…] Ci soffermiamo nel nostro racconto a cogliere proprio quelle tracce che conducono verso scenari e visioni di un’universalità senza tempo e senza spazio, come, ad esempio la condizione dell’abbandono a cui è costretta Medea, senza più patria, famiglia, punti di riferimento ti guardano e ti odiano senza sapere cosa hai dentro. Mi piace mescolare il tempo e lo spazio e cercare i personaggi anche attraverso una drammaturgia obliqua; non sempre gli attori sono scelti per ruoli prede-finiti. Non in questo caso, ovviamente, dove Medea veste gli sguardi, i gesti, la voce di un’attrice di grazia, passione e talento come Romina Mondello, capace di tramutare intensità in essenzialità, di toccare la terra e guardare il cielo, per costruire un personaggio multidimensionale, che saprà essere fuori dagli schemi. Si contrappone il Giasone di Alessandro Averone per raccontare il complesso dualismo di un personaggio che si fa essenza della fragilità, incapace di riconoscere il dubbio come antefatto della verità. A loro si accorda una compagnia di attori, musicisti, cantanti per ruoli individuali e coralità, che costruiranno una drammaturgia tra parole e musica con le suggestioni e le contaminazioni della partitura composta dal musicista visionario Andrea Salvadori. Penso a Medea e gli altri personaggi in un tempo sospeso e in uno spazio rarefatto – luogo non luogo – davanti al palazzo di Creonte, come recita la didascalia originaria di Euripide, tra terra e mare, dove amplificare anche la distanza tra i personaggi, perlomeno sino a quando la luce del Sole, di cui Medea è figlia del figlio, irromperà a sfondare le quinte dei nostri destini.

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