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Teatro dell’Opera di Roma, “Don Giovanni” di Mozart, la versione di Vick

La personalissima e contestata versione del regista britannico conclude la trilogia mozartiana, fino al 6 ottobre al Costanzi di Roma

Don Giovanni
Foto di Yasuko Kageyama

A ricordare che ci trova davanti al Don Giovanni di Mozart/Da Ponte provvede, oltre alla musica dell’ouverture, anche la scritta stessa (Don Giovanni o sia il dissoluto punito) incisa su due grandi nuvole di simil bambagia che troneggiano sulla scena aperta tra cui si intravede, senza troppa immaginazione, la sagoma del dissoluto di turno con cappello e mantello di foggia settecentesca. Ma subito dopo ci vuole un po’ di impegno, anche per chi ben conosce l’opera, a orientarsi in questo Don Giovanni con la regia di Graham Vick, nuovo allestimento del Teatro dell’Opera di Roma (dove resta in scena fino a domenica 6 ottobre), che conclude la trilogia dell’amore cominciata due anni fa nella Capitale e diretta dalla bacchetta del giovane francese Jérémie Rhorer. Dopo aver collocato Così fan tutte in una scuola e Le nozze di Figaro nella upper class contemporanea, il regista britannico, osannato, ma qui più che altro nelle vesti di provocatore, si ispira per il Don Giovanni al teatro dell’assurdo. O almeno questo è quanto aveva voluto anticipare prima dello spettacolo negando addirittura le note di regia che forse avrebbero aiutato in qualche modo a decifrare una lettura sui generis e nel complesso ben poco compiuta ed omogenea, con qualche idea isolata, ma priva di una efficace visione d’insieme.

Opera buffa, opera comica, si ride contro tutto e tutti: ciascuno ha in sé il virus proprio che è di Don Giovanni. Esiste un antidoto oppure andremo tutti all’inferno? Vedremo”. Erano state queste le lacunose dichiarazioni del regista britannico rilasciate prima dello spettacolo ambientato in una società moderna, ma quasi indefinita dove tutto appare senza rispetto e senza limiti di alcun genere, dove bene e male alla fine non esistono e si dissolvono. Come la regia stessa, che si riserva il diritto di qualsiasi libertà con risultati a tratti inspiegabili senza offrire un tipo di lettura omogenea per il pubblico.

Si comincia in effetti con un tono fortemente drammatico giocato sui toni del grigio e del nero (scene minimal con la collaborazione di Samal Blak che pensa a una sorta di piano in legno inclinato che poi diventa piramide, costumi moderni, ma sciatti e atemporali di Anna Bonomelli), con qualche innovativo punto di vista del regista che pare ad esempio non evocare alcuna violenza di Don Giovanni su Donna Anna a giudicare dalla nonchalance stanca e stizzita dei due amanti che si rivestono in scena. Salvo poi virare rapidamente verso l’assurdo senza troppa pretesa di verosimiglianza anche da un punto di vista drammaturgico forse eccezion fatta per due porte laterali al palco e concretamente funzionali all’azione. Si pensa ad esempio allo sdoppiamento – proiezione di Don Giovanni/Leporello, simili da un punto di vista fisico, ma se i personaggi vengono vestiti praticamente in modo identico, si distrugge anche le potenzialità del gioco dello scambio fra servo e padrone nel secondo atto. Stessa voluta rottura è nel secondo atto quando Leporello cena alla stessa tavola con Don Giovanni (atto di rottura politica del dissoluto che si siede a tavola con la servitù? Chissà) di fatto stridendo con il libretto di Da Ponte e togliendo qualsiasi vis comica alla scena. Senza dimenticare che non pochi sono gli altri interventi: Donna Elvira diventa una suora (e da subito, con tanto di velo), l’aristocratica donna Anna è perennemente in ciabatte e calzettoni, forse distrutta dal dolore che la lascia vagare con le buste di plastica in mano portando con sé non si bene esattamente cosa.

L’intento di Vick forse è di mostrare forse che nelle società non ci sono limiti di alcun genere, optando anche per una lettura politica (tanto è grigio il mondo degli aristocratici, quanto è luminoso quello dei contadini) e di certo mostrare come Don Giovanni sia una sorta di sociopatico in cui tutti riescono a riconoscersi.

Proprio Don Giovanni esce dipinto nel peggiore dei modo dall’allestimento: volgare, ben poco fascinoso, mai regale e suadente negli atteggiamenti, ma decisamente villano (come quando sul finale risponde alle suppliche di Donna Elvira prendendola a torte in faccia come nella migliore tradizione della slapstick comedy) si muove con goffa disinvoltura con scarsissimi contatti fisici con le sue “vittime”, inclusa Zerlina.

Resta scarsissima, praticamente assente la sensualità in quest’opera che appare priva di qualsiasi pulsione erotica e non sono certo sufficienti gli amplessi suggeriti in scena o la simil orgia che sfocia in violenza collettiva e ingiustificata nel finale del primo atto (che diventano la chiave di lettura della rivendicazione del diritto alla libertà di Don Giovanni) o l’approccio saffico finale fra Zerlina e Donna Anna.

Tra l’altro le libertà registiche, e alcuni lazzi e libertà gratuite (l’inserviente che spazza per terra davanti a Donna Elvira, l’imbianchino che dipinge il muro), proseguono nel secondo atto, eliminando la statua di marmo del Commendatore che diventa il volto della Sacra Sindone, con alcune scene fin troppo illuminate fino al nonsense del finale che pare scomodare (con colpo di scena inatteso cinico) anche Michelangelo. Insomma, sì alla provocazione, ma con coerenza e in un discorso organico, ma qui sembra che le idee di Vick siano lanciate qua e là senza alcun tipo di continuità in un divertissement che lascia vagare un po’ a vuoto lo spettatore.

Inevitabile che, nel bene o nel male, un allestimento del genere piuttosto contestato dal pubblico, metta quasi in ombra tutto il resto a cominciare dai ritmi ben sostenuti della direzione del francese Jérémie Rhorer al debutto romano: sempre adeguato il cast (se ne alternano due) con Don Giovanni Riccardo Fassi (e Alessio Arduini), Leporello di Andrii Ganchuk (ed Emanuele Cordaro), Don Ottavio di Juan Francisco Gatell (e Anicio Zorzi Giustiniani), meglio ancora le voci femminili di Donna Elvira Gioia Crepaldi (e Salome Jicia), Donna Anna di Valentina Varriale (e Maria Grazia Schiavo), Zerlina di Rafaela Albuquerque (e Marianne Croux), il Commendatore di Antonio di Matteo.

Ma di tanto in tanto non manca qualche problema sugli attacchi con le voci che anticipano e la musica che li rincorre. Ultime repliche venerdì 4 (sempre alle 19.30), sabato 5 (ore 18) e domenica 6 ottobre (alle 16.30). Info e dettagli su operaroma.it.

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