Se il titolo di uno dei capolavori del belcanto di Vincenzo Bellini composto nel 1830 su libretto di Felice Romani, è I Capuleti e i Montecchi e non Romeo e Giulietta, il motivo è evidente: non si tratta infatti, come i più disattenti potrebbero pensare, dell’adattamento in musica della celebre tragedia di Shakespeare, ma rappresenta invece la summa della tradizione letteraria italiana delle novelle italiane, ispirandosi in particolare alla novella IX di Matteo Bandello.
In scena al Teatro dell’Opera di Roma, dal 23 gennaio al 6 febbraio, I Capuleti e i Montecchi, nel nuovo allestimento interamente affidato a Denis Krief, segnano non solo il titolo del bel canto della nuova stagione, ma anche il ritorno sul podio del Maestro Daniele Gatti dopo la grandiosa inaugurazione di stagione a dicembre con il Grand-Opéra di Giuseppe Verdi, Les Vêpres siciliennes.
Ma per Gatti, acclamato direttore musicale del Teatro capitolino, I Capuleti e Montecchi rappresentano una sorta di continuità con il passato.
“Mi riavvicino ai Capuleti e Montecchi con una gioia tutta nuova – conferma Gatti – ritorno dopo quasi trent’anni a dirigere questa amatissima opera del bel canto che aveva segnato i primi anni della mia carriera, a Bologna e poi al Covent Garden”.
Il Maestro approccia l’opera con una sensibilità e una precisione totale guidando l’Orchestra interamente al servizio delle voci che sono protagoniste assolute di questo amato titolo del bel canto, un tripudio di duetti, cavatine interamente affidate alle voci e al pathos dei cantanti in scena, ma senza virtuosismi in eccesso.
Se nei Capuleti e Montecchi viene forse meno tutta la dinamicità drammaturgica che si respira in Shakespeare, Gatti riesce ad esaltare la partitura di Bellini accompagnando ogni nota e ogni parola concentrandosi sulla purezza delle linee e la forza dei sentimenti.
A reggere la partitura impegnativa, un doppio cast dove si distinguono soprattutto le voci dei due giovani amanti con il Romeo di Vasilisa Berzhanskaya impegnata in ruolo en travesti e la Giulietta di Benedetta Torre (che si è alternata a Mariangela Sicilia): vocalmente agili interpretano con tutto il sentimento necessario i ruoli dei giovanissimi amanti. Giulio Pelligra (che si è alternato con Iván Ayón Rivas e) è un buon Tebaldo, il bravo Nicola Ulivieri è Lorenzo, Alessio Cacciamani è Capellio.
Denis Krief firma un allestimento all’insegna dell’atemporalità del dramma proprio perché il dramma attraversa indifferentemente il genere umano.
Mantenendosi fedele al suo stile, Krief punta a un allestimento (di cui cura regia, scene e costumi) all’insegna del minimalismo e dell’asciuttezza: la regia è essenziale con pochi movimenti lasciando soprattutto spazio ai momenti di dialogo dei due amanti. Le scene che richiamano il legno rispecchiano la semplicità di un allestimento evocativo con una sorta di scena unica con ampie arcate a custodia degli spazi e che evocano in lontananza le architetture rinascimentali all’interno delle quali si trovano gli spazi privati di Giulietta e la suggestiva scena del tomba della giovane fanciulla in un clima di assoluta rarefazione. Anche i costumi sembrano essere moderni se non temporali mescolando tratti contemporanei allo stile Anni Sessanta. Un allestimento di successo quello del teatro romano apprezzato non solo dagli amanti del bel canto, protagonista assoluto delle sofisticate scelte musicali di Gatti e della regia poco ingombrante di Krief.