Opera in cinque atti, Libretto di Jules Barbier e Michel Carré, Musica di Charles Gounod
Vittorio Grigolo è Roméo, l’eroe amoroso, bello, esuberante e passionale.
La scena aperta mostra subito la piazzetta di Verona popolata dal coro in costumi d’epoca rossi, verdi e beige, che nel Prologo cantato evoca il dramma imminente.
L’allestimento, firmato da Bartlett Sher, direttore del Lincoln Center Theatre di New York, è una Produzione del Metropolitan Opera di New York, già presentato alla Scala nel 2011.
“Non c’è niente di più fastidioso in un’opera che fermarsi a cambiare il set. Qui non ci si ferma quasi mai. Sei in questo spazio da sogno, senza fermarti”, afferma Bartlett Sher e il regista Dan Rigazzi nel curare l’attuale spettacolo rispetta quest’idea. Pertanto i piccoli cambiamenti avvengono in diretta.
La scenografia di Michael Yeargan non definisce ma suggerisce gli ambienti differenziandoli con arredi ed elementi specifici, quindi su una scena fissa per la festa si vedono giovani con mascherine sugli occhi, per il mercato donne con grandi ceste piene di frutta e verdura, un grande lenzuolo bianco viene steso per simulare il letto della camera di Juliette, che poi la ragazza si gira addosso come un sudario, viene portato un altarino per le nozze e vengono introdotti dei carretti per i cadaveri degli uccisi in duello e dei catafalchi per la scena della morte.
Al centro c’è una pedana dove si svolge gran parte dell’azione: le danze a tempo di valzer delle dame e dei cavalieri alla festa mascherata di casa Capuleti, gli incontri degli amanti, i duelli dei rivali, il mercatino, il matrimonio vero e quello voluto dal conte, c’è una colonna centrale e c’è il balcone di Giulietta e su entrambi si arrampica Roméo.
I costumi settecenteschi di Catherine Zuber sono belli e colorati con prevalenza del colore rosso e contribuiscono a restituire suggestive scene d’insieme, con la complicità delle luci di Jennifer Tipton, riprese da Andrea Giretti. Elegante e tenero l’abito bianco rosato con strascico di Juliette, da eroe romantico quello di Roméo con una camicia bianca a larghe maniche, che mi ricorda quella di Don Giovanni indossata da Ramey allo Staatsoper di Amburgo tanti anni fa.
Curati i movimenti coreografici di Gianluca Schiavoni, abilissimi nel maneggiar la spada, come in un film americano di cappa e spada, gli artisti istruiti dal Maestro d’armi B.H. Barry.
Opera scenicamente complessa, che richiede artisti giovani, agili e prestanti. E qui ci sono.
Vittorio Grigolo e Diana Damrau sono gli interpreti di riferimento per i due amanti di Verona che si sono esibiti insieme al Met.
Vittorio Grigolo, una star contesa dai grandi palcoscenici teatrali e televisivi, baldanzoso Duca di Mantova in Rigoletto e tenero Nemorino ne L’elisir d’amore alla Scala e all’aeroporto di Malpensa, è l’eroe amoroso e appassionato di Gounod, come lo fu nell’800 il tenore Mario Tiberini. E di Grigolo si può dire ciò che allora di Tiberini scrisse il Menestrello su Il Trovatore il 21 dicembre 1867 per la prima alla Scala dell’opera: “superbamente grande come cantante e come attore, commovente per sentimento e per espressione drammatica, ebbe momenti tali da sollevare il pubblico tutto ad entusiasmi. Nel bellissimo duetto del IV atto, ebbe slanci felicissimi, qui toccò l’apice dell’arte e della passione”. Vittorio Grigolo ha bella voce robusta ed estesa di tenore che si espande con facilità verso la tessitura acuta e sovracuta con bei filati e tenuta del suono.
Pone grande enfasi nel canto appassionato, con attacchi impetuosi, modulazioni carnose, assottigliamenti sensuali, effetti di sottovoce, di smorzati e di morendo che captano l’attenzione del pubblico. Interprete oltre che cantante, nell’invettiva infuocata alla morte di Mercuzio trasmette la disperazione con grande impeto nel canto, parola scandita, ampiezza del suono. Usa la voce con sentimento, effusione, buona tecnica, corretta pronuncia francese anche nei suoni nasali. Lui è una forza nel canto spiegato e a piena voce spinta al massimo e ricca di pathos.
Agilissimo fisicamente, si arrampica sul balcone, sale sulla base della colonna e ne discende con un salto abbastanza alto. Dotato di senso teatrale è anche un bravissimo attore.
Gli si muove accanto la delicatissima figura di Juliette, ben impersonata da Diana Damrau, un soprano scintillante con gorgheggi scanditi, con un mezzo vocale agile, di poco spessore, consistente negli slanci acuti, evanescente nel registro grave, come evidenziato nella nota aria Je veux vivre.
Le Comte Capulet è interpretato dal baritono Fréderic Caton in modo corretto, ma con poco volume vocale; Nicolas Teste nel saio di Frère Laurent evidenzia una bella voce di basso rotonda e gradevole, a volte coperta dall’orchestra, Mattia Olivieri è un bravo baritono sicuro nel ruolo di Mercutio.
Elemento da attenzionare è il mezzosoprano emergente Marina Viotti, sorella del direttore, nel ruolo en travésti del paggio Stéphano; la cantante che ha recentemente vinto l’Opera Award a Londra come “Best young singer”, è dotata di voce sonora e pulita, di bel colore e con armonici, è abile nelle mezze voci, nei suoni sostenuti, nelle magnifiche espansioni acute a piena voce.
Ha buona voce anche l’emergente tenore russo Ruzil Gatin nei panni di Tybalt.
Sara Mingardo presta a Gertrude una voce pastosa di mezzosoprano dal bel colore ma ha poco fiato, Le Duc di Jean-Vincent Blot ha un buon colore di basso ma è un po’ corto, Edwin Fardini è Le Comte Paris, Paolo Nevi è Benvolio, il baritono Paul Grant è Gregorio.
Il Coro del Teatro alla Scala, ottimamente preparato e diretto dal Maestro Bruno Casoni, è coprotagonista di questa pregnante coralità, che a volte ricorda le atmosfere del Faust, e vi si immerge con la morbidezza delle mezze voci, con la ricchezza del canto a piena voce, con la magnificenza dei suoni in tessitura acuta della sezione femminile, con le voci calde e corpose della sezione maschile, con la restituzione di atmosfere ferali a sostegno della disperazione di Roméo dopo la morte dell’amico del cuore, il tutto con un perfetto amalgama sonoro. Bravo!
La brava Orchestra del Teatro alla Scala, diretta con classe e sicurezza da Lorenzo Viotti, entra con grande professionalità nella varietà dei temi e delle atmosfere della scrittura del compositore francese.
Dai tempi dilatati della tristezza, a quelli festaioli e danzanti della festa del conte, dal dinamismo del terzetto tra amici, che musicalmente ha il ritmo del quartetto degli zingari di Carmen, alla dolcezza dei brevi intermezzi, dalle sonorità dense e vibranti nei duetti degli amanti, alla compattezza del tutto orchestrale. Brava!
Presente a teatro Tony Renis, amico del protagonista.
L’opera Roméo et Juliette era andata in scena alla Scala solo quattro volte: nel 1867 con la direzione di Alberto Mazzucato e col tenore Mario Tiberini al suo debutto nel ruolo protagonista, nel 1874 con la direzione di Franco Faccio, nel 1911 con la direzione di Tullio Serafin e nel 1934 con la direzione di Gabriele Santini, la regia di Mario Frigerio e Mafalda Favero e Beniamino Gigli protagonisti.
La recensione si riferisce alla recita del 16 febbraio 2020.