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Il giardino dei ciliegi

Al Teatro Argentina di Roma fino all’8 marzo

Il giardino dei ciliegi Dalla connotazione drammatica delle storiche messinscene di questo testo di Anton Čechov si discosta l’allestimento di Alessandro Serra, che restituisce al testo la caratterizzazione originaria di giocosa commedia che le aveva conferito il suo autore e che il primo allestimento di Kostantin Sergeevič Stanislavskij aveva sovvertito, facendo da caposcuola a tutti i successivi.

Scritta da Čechov nel 1903 pochi mesi prima della morte, ispirandosi a vicende familiari e personali, la pièce rappresenta, attraverso le molteplici relazioni che intercorrono tra i componenti di una aristocratica famiglia e il contesto umano che le ruota intorno a scopo amicale o speculativo, un’istantanea sulle dinamiche sociali che stavano attraversando l’universo della società russa col disfacimento della struttura portante della nobiltà, corrosa dall’avanzare del potere economico dei villici servitori emancipati con l’abolizione del sistema feudale del 1861, e della nuova borghesia.

Questi aspetti, che hanno indotto Stanislavskij a privilegiare l’ottica di dramma storico-sociale, venivano affrontati, invece, da Čechov con comica e ironica leggerezza, rappresentando un microcosmo come metafora della condizione umana e puntando l’occhio disincantato sull’ineluttabilità di un ciclo destinato a esaurirsi.

Il sipario si apre su un’aura di decadenza, coi personaggi sdraiati a terra che prendono vita come le figurine di un carillon, in uno spazio vuoto dalle alte pareti color tabacco in cui trasportano scarne suppellettili. Si muovono in gruppo a passi leggeri, volteggiando, canticchiando, sussurrando, fermandosi qualche attimo in posa per un’istantanea che fermi il tempo e i pensieri, riprendendo i girotondi bambineschi, recitando filastrocche o dilettandosi con elementari giochi di prestigio.

Alessandro Serra trasmuta l’accento di farsesca comicità di Čechov in un movimento corale di sussurri, proiezioni di ombre, chiacchiericci, russamenti, risolini, movimenti coreografici, punzecchiamenti, epiteti infantili, tintinnio di calici, chiaroscuri, in una visione olistica della messinscena di cui oltre alla regia cura la drammaturgia, le scene, i costumi e le luci.

Tutto inizia e finisce nella stanza dei bambini, disadorna eppure pulsante di immagini visionarie. Oltre c’è il mondo con i suoi cambiamenti epocali, e il giardino dei ciliegi.

Quando Lopachin annuncia l’acquisto all’asta della tenuta alla proprietaria Ljuba tornata da Parigi più addolorata per la disgrazia di aver perso il figlio che per l’imminente perdita della proprietà, la donna affronta con levità il cambiamento di status, paradigma della rivoluzione politica e sociale del Paese con l’emancipazione dei servi della gleba. Tutti sono pronti a partire, indossando neri abiti che li rendono indistinti, mentre una folla di scure sagome scorre dietro il fondale illuminato e Lopachin scava nel suo terreno lanciando in aria badilate di terra dall’acre odore.

Un idillio onirico in cui il pathos del momento storico si stempera nell’ineluttabile evolversi degli eventi privati ricchi di umori, odori, suoni, ombre, sensazioni che connotano la cifra registica di Serra, in una allegoria coreografica che crea movimento e si blocca in aeree fermo-immagine.

La destrutturazione dei dialoghi rende poco definibili i ruoli, privilegiando l’atmosfera onirica e giocosa dove il mito dell’infanzia prevale sul senso della realtà, mentre tra giochi di luci e giochi infantili va in scena lo sgretolamento della società ottocentesca russa.

La scena monocromatica color tabacco, i costumi omogenei, le ombre sono il tessuto di un’aristocrazia destinata al disfacimento, anticipata dal tintinnio dei bicchieri sul vassoio portato con andatura incerta dal vecchio Firs. Resterà solo una catasta di filiformi sedie che incombe sospesa sui corpi tornati a sdraiarsi nel buio.

Bravi tutti gli interpreti nel dare profondità e spessore ai loro personaggi: Valentina Sperlì (Ljubov’), Leonardo Capuano (Lopachin), Fabio Monti (Gaiev), Petra Valentini (Varja), Marta Cortellazzo Wiel (Anja), Felice Montervino (Trofimov), Arianna Aloi (Duniaša), Chiara Michelini (Carlotta), Bruno Stori (il maggiordomo Firs), Massimiliano Poli (Simeonov), Massimiliano Donato (Epichodov), Andrea Bartolomeo (Jaša).

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