martedì, Aprile 23, 2024

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Il giullare

Questa poesia in forma di filastrocca di Emanuele Martinuzzi racconta le gesta di un giullare, essere multiforme dell’antichità medioevale giunto fino a noi attraverso numerose evoluzioni

Il giullare
Nella foto: “The Laughing Fool” di Jacob Cornelisz van Oostsanen

Questa poesia in forma di filastrocca di Emanuele Martinuzzi racconta le gesta di un giullare, essere multiforme dell’antichità medioevale giunto fino a noi attraverso numerose evoluzioni. Un giullare raccoglie in sé molte qualità e sentimenti. È un musico capace di suonare le corde del proprio e altrui animo anche attraverso veri e propri strumenti musicali, un attore che delizia le corti con le sue piacevoli trovate, un saltimbanco che porta la sua arte a giro per le strade, un ciarlatano che indispettisce con i suoi scherzi i passanti o fa ballare i giovani, un folle che ha il diritto di parlare di verità taciute, perfino sui regnanti. Questo e non solo, l’acrobata, il mimo, il mangiafuoco, il cavallerizzo, il buffone e molto altro ancora. Ma dietro tutte queste maschere, dietro tutte queste sfaccettature, c’è l’uomo, con i suoi desideri e le sue malinconie, le sue gioie e le sue tristezze, le sue contraddizioni e la sua voglia di libertà.

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Il giullare

Qua devia l’avventura

del giullar senza radura

che tesse ogni affanno

col verde rosso panno.

Beffardo nel disincanto

incede con premura;

brusio di campanelli

gorgheggia sotto al manto.

In piazze arroventate

si ospitano occhiate

sedotte dalla paura

per ventose rotte.

Nel ballo solitario

stride il suo archetto,

la luna va a braccetto

con l’ultimo lampadario.

Ai piedi colorati

resti del banchetto santo

strascicano profani

nel buffo mimando.

Cerca la musa assente,

dolce incanto di cielo:

nebbioso e commovente

nella pioggia un sol velo.

Stinge la maschera bianca

nelle smorfie d’un verso,

oltre la parola stanca,

nel buio d’un volto terso.

E dall’ugola s’intona

un brivido di vocali

che a cascata risuona

consonanti come strali.

Il ripido vanverare

di vanità senza forma

e di romanze amare

si fa cristallina torma.

Sottile linea il riso

quando lo specchio è segno

dipinto su di un viso

che è parodia di legno.

Quasi l’aurora canta

e con dei lazzi scrolla

il bastone che si vanta

di acclamare la folla.

Con salti e piroette

ricomincia il cammino

dolente di scarpe strette

e devoto all’inchino.

Di labbra in labbra vive

con novelle e leggende

pure o anche lascive;

per casa purpuree tende.

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