Alba Donati (Lucca, classe 1961), è una poetessa e critica letteraria italiana, un paesaggio aulico e popolare, un’infanzia che parla le prime parole della poesia. Vive tra Firenze e Lucignana. Ha esordito su Poesia, nel 1993, nella rubrica di Milo De Angelis “I poeti di trent’anni”. Ha lavorato per Rai 3 e Rai Radio Tre ed ha tenuto per molto tempo rubriche di poesia su vari quotidiani. Ha pubblicato: “La Repubblica contadina” (City Lights, 1997, Premio Mondello Opera Prima e Premio Sibilla Aleramo); “Non in mio nome” (Marietti, 2004, Premio Diego Valeri, Premio Carducci, Premio Pasolini, Premio Cassola); “Idillio con cagnolino” (Fazi, 2013, Premio Lerici-Pea, Premio Dessì, Premio Ceppo). Le sue poesie sono state tradotte dalla Triquarterly Review della Northwestern University of Chicago e recentemente “Il canto per la distruzione di Beslan”, poema contenuto nell’ultimo libro, è stato tradotto dal Department of French and Italian, University of Arizona. “Il canto per la distruzione di Beslan” è stato anche musicato dall’Orchestra Regionale della Toscana e rappresentato al Teatro Verdi di Firenze, nel 2009. Ha tradotto con Fausta Garavini le poesie di Michel Houellebecq “Configurazioni dell’ultima riva” (Bompiani, 2015). Ha curato “Poeti e scrittori contro la pena di morte” (Le Lettere, 2001) e, insieme a Paolo Fabrizio Iacuzzi, Il “Dizionario della libertà” con scritti di Todorov, Savater, Cordelli, Pamuk, Yeoshua, Bauman, T.B. Jelloun e altri (Passigli Editori, 2002). È presidente del Gabinetto Scientifico Letterario “G.P: Vieusseux”. Nel maggio 2018 è uscita la raccolta delle sue poesie: Tu, paesaggio dell’infanzia. Tutte le poesie 1997-2018 (La nave di Teseo). Si potrebbe aggiungere molto altro. Ma lasciamo che siano le sue parole a raccontarci qualcosa in più.
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Alba Donati, ci vuole raccontare di cosa parla questo suo ultimo lavoro letterario Tu, paesaggio dell’infanzia? Una raccolta antologica è un modo per fare un bilancio o per andare avanti con altri occhi?
La poesia è. Difficile aggiungere spiegazioni. In ogni caso non è mai un bilancio piuttosto si sbilancia, cancella tracce e ne costruisce di nuove. Certo pubblicare le poesie di 20 anni ti porta a cercare il filo, se c’è. O i fili, che si intrecciano si inabissato e poi riemergono cambiati eppure sempre uguali. Io come lettrice cerco sempre l’uguale, anche dove è difficile trovarlo. Guarda Caproni, ogni libro uno stile, eppure ovunque ritrovi le sue ossessioni, quelle che sono ben evidenti nel Conte di Kevenhüller.
“Alba Donati possiede la cifra infrequente di una parola lirica, epica e proletaria, capace di evocare la sua Garfagnana aspra e luminosa, la sua repubblica dove un antico legame di pietà e di amore, ma anche di resistenza e di lotta, tiene insieme oscure esistenze.” Così scriveva Roberto Carifi. Si rivede ancora in queste parole?
Assolutamente sì, anzi direi che non mi sono mai sentita all’altezza di quelle parole. Lirica, epica e proletaria, mio Dio, come si fa a non deludere? Certo invece sottoscrivo il legame con le mie origini, i luoghi, le persone, sono per me una fonte inesauribile di ispirazione.
C’è un gran proliferare di premi letterari e eventi. Ne ricorda con affetto uno suo? Secondo lei qual è il premio più importante per chi scrive poesie?
Il premio più importante è sempre essere amata, è vedere le proprie parole appartenere ad altri. In termini più pratici, il premio che ricordo con maggiore affetto è il Premio Mondello Opera Prima che vinsi con La Repubblica contadina. Forse perché è stato il primo. C’era una giuria meravigliosa – Vanni Scheiwiller, Agostino Lombardo, Franco Cordelli – e gli altri vincitori erano Xavier Marias, Philippe Jacotett, Carlo Ginzburg. E il premio consisteva anche in un bel gettone.
Quale peso o responsabilità crede che abbia la cultura nella società di oggi, anche alla luce del drammatico momento che stiamo vivendo?
Credo abbia il diritto di essere sostenuta perché leggere, andare a teatro, a una mostra migliora le nostre vite, ci rende più sensibili, più attenti. È nostra responsabilità ancora uscire dalla caverna e contrastare la bestia con parole convincenti. Questo fa la cultura, ti offre un dizionario di parole alternative a quelle brutali che sentiamo ovunque.
Umberto Eco disse che i social network danno diritto di parola a legioni di imbecilli. Anche lei concorda con questa visione pessimista sulla democratizzazione dei media attraverso i social o invece considera diversamente l’utilizzo di questi media di massa anche per la condivisione della cultura o come nuova forma di interrelazione sociale?
Ma no, ci sono imbecilli e persone per bene. Certo è che sui social ci deve essere controllo perché male usati fanno danni irreparabili. Ma c’è un modo sano di utilizzarli e lo vediamo bene. La mia libreria nata con un crowdfunding su Facebook e che ha messo insieme 15 mila euro ne è la riprova. I nostri 15 mila follower sono gentilissimi. Io poi evito discussioni impegnative sui social, per quelle ci sono le chiacchiere intorno a un tavolo.
Il libro è sempre un paesaggio, un luogo in cui poter abitare. Quale rapporto ha con la città di Lucignana dove ha fondato una libreria e nella quale vive, anche come fonte di ispirazione?
Con il paese e con la ‘nostra’ libreria ho un rapporto da giardiniera, annaffio, coltivo, controllo se nasce una fogliolina, un bocciolo. È il microcosmo più grande che conosca. Contiene tutto il materiale dell’infanzia che è inesauribile, contiene persone storie paesaggi, insomma ho da lavorare per tanto tempo, non temo la disoccupazione.
Parlando dei suoi scritti ricorda un passo a memoria? Come mai proprio questo?
Non ricordo a memoria niente, nemmeno un verso. Come se a scrivere fosse una seconda persona in me. La poesia è roba sua, non della mia vita cosciente e dunque non so nulla a memoria. Ho delle poesie preferite, ad esempio “La finestrella”. C’è la visione della bambina, una fanciullina pascoliana, che si salva dalla paura metafisica, quella del mestiere di vivere, attraverso la visione della finestrella che dà su un orto abbandonato. Basta poco per sopravvivere. La bellezza, come la paura, è sempre in agguato.
Sicuramente i lettori di Teatrionline vorranno sapere: qual è il suo rapporto con il teatro?
L’ho seguito per molti anni, anche perché ero, e sono, amica di uno dei maggiori critici teatrali, Franco Cordelli, che mi trascinava a tutti i Festival del centro-Italia. Tra l’altro vedere il teatro con lui era un’esperienza notevole. Oggi ci vado meno ma solo per pigrizia e stanchezza. Negli anni ’80 poi seguivo sempre Montalcino al seguito di Aldo Giorgio Gargani e delle sue strepitose lezioni. Lì vedevo arrivare in lambretta Carlo Cecchi, chilometri e chilometri con la cicca tra le labbra. Un pezzo di teatro di successo, direbbe Patrizia Cavalli.
Quali sono i suoi progetti futuri?
Mi piace non avere progetti, vivere alla giornata, fare sempre le stesse cose. Curare i miei libri, la libreria, accudire i fiori, l’erba del giardino, leggere, cucinare. Ah c’è una novità: ho iniziato a scrivere un libro, no-fiction. Racconto la storia della libreria, della comunità che gli sta intorno e di una bambina che si è salvata la vita leggendo.
Alba Donati è una poetessa e critica letteraria italiana, un paesaggio aulico e popolare, un’infanzia che parla le prime parole della poesia.