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Moby Dick alla prova

11 gennaio > 6 febbraio | sala Shakespeare

Elio De Capitani porta in scena un testo teatrale finora sconosciuto ai nostri palcoscenici, Moby Dick alla prova, scritto (oltre che, a suo tempo, diretto e interpretato) da Orson Welles. Questa nuova produzione (che vede collaborare il Teatro dell’Elfo e il Teatro Stabile di Torino – Teatro Nazionale) è stata allestita e messa in prova nell’inverno 2020/21, ma non ha potuto essere presentata al pubblico. Il lavoro arriva a compimento nella stagione ‘21/22, con il debutto in prima nazionale l’11 gennaio sul palcoscenico dell’Elfo Puccini di Milano e le repliche al Teatro Carignano di Torino (8/20 febbraio).

«Il testo di Welles è un esperimento molteplice, sottolinea De Capitani: blank verse shakespeariano, una sintesi estrema del romanzo, personaggi bellissimi, restituiti in modo magistrale, compreso Achab, e parti cantate. Noi abbiamo realizzato questo spettacolo ‘totale’, con in più la gioia di una sfida finale impossibile: l’apparizione del capodoglio. E con un semplice trucco teatrale siamo riusciti a crearla in scena».

Lo spettacolo è accompagnato da un’installazione del MUSE – Museo delle Scienze di Trento, intitolata Umanità contro.

NOTE DEL REGISTA: Welles e Melville.
Una duratura e magnifica ossessione quella di Welles per Moby-Dick. E finalmente il 16 giugno 1955, al Duke of York’s Theatre di Londra, va in scena per lottare personalmente con le sue balene bianche: Melville, il palco vuoto e la sala piena di spettatori. È un successo.
Eppure al pubblico non dà né mare, né balene né navi. Solo un palco vuoto, una compagnia di attori, se stesso in quattro ruoli: è Achab e padre Mapple, ma è anche Re Lear ed è un impresario teatrale che convince la sua compagnia ad allontanarsi da Shakespeare e a seguirlo in una nuova avventura. Soprattutto Welles al pubblico dà il suo testo, su cui ha lavorato per mesi, trovando appunto una via indiretta per affrontare la sfida di mettere in scena il romanzo: passare per Re Lear, lo spettacolo che la compagnia sta recitando ogni sera, che getta un ponte tra Melville e Shakespeare, scivolando dall’ostinazione di Lear (che la vita, atroce maestra, infine redimerà) all’ostinazione irredimibile, fino all’ultimo istante, del capitano Achab.
Il blank verse – per noi splendidamente tradotto dalla poetessa Cristina Viti – restituisce con forza d’immagini la prosa del romanzo, trasformando rapidamente l’iniziale entrare e uscire dal personaggio, che il capocomico Welles e i suoi attori fanno come ogni compagnia in prova, in una travolgente e intensa rappresentazione dello scontro, titanico e insensato, tra uomo e natura.
Oltre alla traduzione, un secondo potente motore di questa nostra versione del capolavoro di Welles è una ciurma d’attori più che pronti alla sfida: un cast che salda le eccellenze artistiche di tre generazioni dell’ensemble dell’Elfo, nel quale anche molti dei giovani hanno un curriculum ricco di premi; quando i teatri erano chiusi, con la vita ferma fuori dalle mura del teatro, gli attori, i musicisti e le maestranze hanno trovato l’assoluta concentrazione e le prove sono diventate un ritiro totalizzante. Terzo importante elemento dello spettacolo è la musica, che abita intensamente e dal vivo la scena (sia nel canto degli sea shanties, che strumentale), portentosa magia generatrice di emozioni profonde.
Ed è stato così che il capodoglio bianco ha preso anche la nostra vita. Da quando abbiamo iniziato a portare sulla scena il Moby Dick alla prova di Orson Welles, la duplice natura del grande mammifero marino ci tormenta.
ACHAB Ma io, in quella bestia, io vedo forza oltraggiosa, imperscrutabile malvagità; è questo, questo imperscrutabile che io più odio, e che il capodoglio bianco ne sia agente o mandante sarà quell’odio che io gli infliggerò!
Non mi parlate di infamia o di bestemmia: io colpirei anche il sole se lui osasse insultarmi!
Il controcanto a quest’odio iperumano è un brano che abbiamo ritrovato nel cuore del romanzo di Melville e che abbiamo inserito nel cuore nostra versione scenica:
Dicono che spesso, da che più feroce e spietata si è fatta la caccia, le balene in enormi branchi solchino gli oceani per darsi l’un l’altra protezione e assistenza. […] se vi inoltrerete fino al cuore del branco dove giungono attutiti il clamore e lo spumeggiare delle onde, lì la distesa del mare vi apparirà come una levigata tela di raso […] Lì femmine e cuccioli giocano innocenti, pieni di gioia e senza timore o diffidenza alcuna. E se il vostro sguardo si spinge giù, giù, in quella trasparente profondità, lì in quelle caverne d’acqua vi appariranno le sagome delle balene che danno il latte e di quelle prossime a partorire. E come i neonati umani quando poppano puntano il loro sguardo tranquillo e fisso lontano dal seno, come se si nutrissero ancora di qualche loro memoria ultraterrena, così i piccoli di quelle balene vi guarderanno, ma non voi veramente, come se al loro occhio tranquillo voi non foste che un pezzetto di alga nel golfo.
Achab, come Kurtz in Cuore di tenebra, per devastare la natura, soggioga i suoi simili e ne fa strumento del suo odio, con estrema facilità: compito agevole, dopotutto… La mia unica ruota dentata sa mettere in moto i loro diversi meccanismi… ed eccoli tutti in moto…Vitalismo rapace, prepotentemente – ma non esclusivamente – occidentale, che rappresenta quella parte d’umanità che ci porta al disastro, al gorgo mortale che inghiotte la Pequod. Siamo alla sesta estinzione di massa, siamo al riscaldamento globale, siamo sull’orlo del baratro e continuiamo a correre. Generando odiatori meno mitici ma altrettanto ferali di Achab. Riascoltando le cronache del G8 di Genova venti anni dopo, impressiona la follia repressiva che offese i corpi, segnò le menti e colpì le idee di quell’imponente movimento trasversale che aveva, semplicemente, a cuore il destino del pianeta e dei popoli.
Diciamolo: Moby-Dick parla di noi, oggi. Ne parla come solo l’arte sa fare. Cogliendo il respiro dei secoli – tra passato e futuro – nel respiro di ogni istante della nostra vita.
Elio De Capitani, 20 luglio 2021

 

Dall’11 gennaio nel foyer dell’Elfo Puccini
Umanità contro
L’installazione MUSE che accompagna Moby Dick alla prova
I balani, piccoli crostacei a guscio circolare, viaggiano per il mondo ancorati a varie specie di cetacei. Ognuno di loro racconta la storia di chi li trasporta. Ne conosce rotte, abitudini, frequentazioni.
Dalla collaborazione tra Teatro dell’Elfo e MUSE – Museo delle Scienze di Trento nasce l’idea di associare allo spettacolo un’installazione che, proprio come un balano, accompagna la messa in scena nel suo itinerante tra i teatri d’Italia.

Umanità contro, curata da MUSE in collaborazione con PAMS Foundation, racconta di noi e delle relazioni che la nostra specie intrattiene, da millenni, con l’altro da sé. Racconta delle nostre ineguagliate capacità di comprendere e cooperare, ma al contempo della nostra irrefrenabile pulsione a distruggere e prevaricare.

Un’installazione che grazie alle irriverenti illustrazioni di Sara Filippi Plotegher racconta di una specie in preda ad un’alterazione delle proprie funzioni cognitive, che la porta a vedere come conveniente la distruzione di capodogli, balene e ogni altro organismo – financo dei propri simili – e della natura nel suo insieme. Una specie contro. Contro gli altri e contro sé stessa.

TEATRO ELFO PUCCINI, sala Shakespeare, corso Buenos Aires 33, Milano – Durata: 2 ore 20 – Mart/sab. ore 20.30; dom. ore 16.00 – Prezzi: intero € 33 / rid. giovani e anziani €17,50 / online da € 16,50 – Info e prenotazione: tel. 02.0066.0606 – biglietteria@elfo.org

Installazione Umanità contro: accesso gratuito riservato agli spettatori del Teatro Elfo Puccini.

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