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Ben, animali in cattività

Recensione di Federico Mattioni

 Scritto e diretto da Maria Grazia Pompei
Interpreti Valentina Favella e Riccardo Pieretti
18-19-20 febbraio al Teatro Petrolini di Roma.

Chi sono o cosa sono, quegli animali chiusi in una casa di campagna, entro la quale fa capolino la luna, rischiarando la loro silhouette? Ne illumina appena i contorni che non sembrano essere poi così definiti. O forse sono degli esseri umani tornati allo stato brado? Non vogliono ammettere il fallimento della loro relazione, metterebbe a rischio posizioni incontrovertibili.

Del resto siamo nella notte di Natale, periodo di celebrazione del concetto di famiglia, sempre se un rapporto a due si può definire tale. L’uomo e la donna tentano di comunicare in maniera semplice e spontanea ma la conversazione è costantemente disturbata da una mal sopportazione di tutte quelle cose che all’inizio destavano invece curiosità e attrazione. Programmare il quotidiano non deve essere semplice e l’atto di addobbare l’albero di Natale, può dare adito ad una vera e propria diatriba che fa dello scherno l’arma portante di un disagio palpabile. Roba da separati in casa.                                                           Se il matrimonio è la tomba dell’amore, l’amore inteso come convivenza, ne è il preludio per i Ben (come a voler ammettere che tutto sommato ben gli/ti sta). Non sappiamo con esattezza quanti anni sono trascorsi da quando l’amore è iniziato ad andare in cattività. Probabilmente da quando hanno cominciato ad addobbare l’albero, ossia dal primo Natale trascorso assieme, dalla scoperta dell’inganno fatto istituzione.

Ben e Ben, il prima e il dopo di due scatole di addobbi, traboccanti di cose futili, il prima e il dopo di una relazione che per “tirare a campare” deve costantemente sospingersi verso il contatto fisico. Due esseri umani, un poco animali, che riescono a dialogare solamente per mezzo del corpo, quell’ultima cosa che rimane loro nel tentativo di sentirsi ancora. Fanno in fretta a spogliarsi, così come a rivestirsi, ma quando c’è da dialogare qualcosa s’inceppa, nascono le solite incomprensioni e persino un branco di lupi si affaccia issandosi sul loro pertugio, nell’incombere di qualsiasi tentativo di stabilità svogliato, indolente, inoperato.

A indossare le pelli e i peli di questa coppia figurano l’attrice Valentina Favella e l’attore Riccardo Pieretti, corpi che scattano nervosamente davanti e dietro proprio quell’albero che seppur illuminato, finiamo per ricordarcelo spento, assente, come la loro fiammella relazionale che si avvampa solo allo schizzare improvviso degli ormoni. La voce di Riccardo si alza e si abbassa di tono a brevi scatti, volutamente per infastidire. Quella di Valentina si adegua senza dirimersi dal perpetuo punzecchiamento.                                                  L’autrice e regista Maria Grazia Pompei ne definisce i tratti con precisione e puntigliosità, dando la sensazione di lasciare la giusta libertà di movimento a due interpreti che offrono l’impressione di non trovarsi del tutto a loro agio, funzionalmente, nella rappresentazione di quel dialogo e di quella intimità ricercata invano. Si schermano protestandosi apertamente, in un solo atto destreggiato in punta di piedi, secondo l’ordine di una commedia amara, non abbastanza erosiva da lasciare il segno.                                                                         La sensazione che permane a fine spettacolo è quella di un confronto giocato più che altro sulle rime del sorriso, sorridersi nonostante tutto. Tagliente a tratti ma non cinico, il dialogo punzecchia ad ogni sopraggiungere di quel contatto che è un salvagente per la loro relazione ma non per lo show che deve continuare.

Il messaggio che la regista ci vuole lasciare si aggrappa ai rami dell’albero di Natale, nella solitudine domestica, al centro dei suoi costruttori che fanno a disfanno a piacimento, a colpi d’anca. E forse è nel saper generare lo spettacolo indigesto del disinganno che rintraccia il suo punto di maggior persuasione e robustezza. 

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