Continua al teatro Quirino la proposta della drammaturgia americana della prima metà del Novecento con il dramma di Arthur Miller sull’utopia del sogno americano che può diventare crudele e innescare conflitti familiari, per la regia di Leo Muscato.
Scritto nel 1949 è ritenuto un caposaldo del teatro contemporaneo come ci ricorda il traduttore Masolino D’Amico: “Tracciando bilanci del secolo che si concludeva, agli inizi degli anni 2000 la rivista Time elencò i dieci lavori teatrali più significativi del Novecento. Il primo posto assoluto toccò a I sei personaggi in cerca d’autore di Luigi Pirandello. Il secondo andò a Morte di un commesso viaggiatore di Arthur Miller: senza alcun dubbio la Grande Commedia Americana, quella che gli americani sentono come più autenticamente “loro”. Perché il Commesso colpisce così profondamente? E perché è così americano (ma allo stesso tempo, così internazionale: se ne registrano persino versioni russe e cinesi in chiave anticapitalista e anticonsumista)? Perché è la storia di un sogno; la storia di un piccolo uomo e del suo sogno più grande di lui. Nella fiaba della farfalla e della formica, le simpatie vanno alla farfalla, benché questa venga sconfitta. E Willy Loman, sconfitto alla fine come la farfalla, non ha pazienza. È nato in un paese giovane e impaziente, forse figlio di immigrati; non ha radici, vuole salire nella scala sociale. Sogna a occhi aperti il successo facile, veloce”.
Willy Loman insegue il sogno del successo in quel grande paese che sono gli Stati Uniti dove tutto è possibile. Vecchio e stanco consegue soltanto fallimenti e umiliazioni e proietta i suoi sogni sui figli che, pur amandolo lo contestano: Biff ne prende le distanze ed Happy corre dietro alle ragazze. Il suo obiettivo minimale è essere benvoluto e ciò gli fa perdere di vista l’amore dei suoi cari, soprattutto quello della moglie che gli è totalmente devota.
A tratti percepisce l’importanza della famiglia e fa l’amara considerazione: “Lavori tutta la vita per pagare le rate del mutuo, e quando la casa è finalmente tua, non c’è più nessuno che ci vive”. La sua mente è divisa, non accetta il fallimento e insegue il miraggio di tre modelli di persone di successo: il padre fabbricante e venditore di flauti, il fratello Ben che dopo tre anni nella giungla ha fatto fortuna in Alaska e Dave Singleman vecchio commesso viaggiatore che a oltre 80 anni conclude contratti per telefono senza spostarsi da casa. Le allucinazioni lo perseguitano, il fratello diventa una presenza ossessiva che lo esorta a lasciare tutto ed andare con lui incontro alla ricchezza.
Il benessere sembra a portata di mano, ma gli sfugge e si sente frustrato, inadeguato e demotivato a continuare a macinare chilometri per contattare i clienti. Le sue aspettative sono puntate su Biff che reagisce sempre più violentemente arrivando a compiere piccoli reati.
Il sogno americano fallisce tragicamente. Realtà e sogno si equivalgono, passato e presente si sovrappongono.
È forte la tentazione di un gesto estremo risolutivo, che la moglie tenta di sventare fino alla soluzione finale che, forse, risolverà le difficoltà economiche.
La vicenda si svolge all’aperto nello spazio antistante la malandata casa dei Loman dalle mura sgretolate (scene di Andrea Belli). I passaggi temporali e l’alternanza tra realtà e allucinazione vengono evidenziati dalla rotazione del muro laterale esterno del cortile e dall’entrare in casa per uscirne lateralmente come attraverso una via di fuga.
Michele Placido, che ha sostituito in itinere l’impossibilitato Alessandro Haber, incarna in modo tangibile il travaglio e il disagio del protagonista, con una voce querula che ne esprime tutto il lamentoso disfacimento. Alvia Reale è amorevole e devota fino all’annullamento di sé. Oltre alla partecipazione di Duccio Camerini, il cast vede Fabio Mascagni e Michele Venitucci nel ruolo dei figli, Stefano Quatrosi, Beniamino Zannoni, Paolo Gattini, Caterina Paolinelli, Gianluca Pantosti, Eleonora Panizzo e Margherita Mannino.