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Azul Gioia, Furia, Fede y Eterno Amor di Daniele Finzi Pasca

Recensione Emanuele Martinuzzi

In scena dal 12 al 13 aprile al Teatro Era di Pontedera

Arriva al Teatro Era di Pontedera, con all’attivo una trentina di spettacoli, due imprese per il Cirque du Soleil, tre cerimonie olimpiche, varie opere liriche, e sette titoli in tournée per il mondo, lo svizzero Daniele Finzi Pasca, che ha ora rielaborato un suo inedito e lo ha messo in scena per Stefano Accorsi e altri tre grandi attori nel suo primo lavoro italiano, intitolato Azul, prodotto da Nuovo Teatro e Teatro della Toscana, con debutto e un tutto esaurito il 15 febbraio a Correggio, e tappe, tra le altre, a Bologna, Roma, Salerno, Trieste, Firenze.

Credo siano clown i personaggi che popolano le mie storie dato che sussurrano, inciampano, ridono e si commuovono. Sono fatti di cristallo, di burro e di zucchero e con un colpo di vento si trasformano in giganti. Ho avuto la fortuna di incontrare Stefano, Luciano, Sasà e Luigi, attori carichi di umanità, mestiere e passione. Con loro è stato facile dare vita a questa piccola rapsodia dedicata a quanti non si danno mai per vinti. (Daniele Finzi Pasca)

Una storia fatta di storie e personaggi intrisi di fragilità, sognanti con tutta la passione che l’umanità sofferente e imperfetta sa avere dentro di sé. In una città dove il gioco del pallone è febbre, questi quattro amici vivono facendo affiorare ricordi e speranza disattese, provando a ricostruire una serenità dimenticata o distrutta. Persone semplici nel loro vivere onirico, che sanno dare vita al loro essere con l’entusiasmo di un’infanzia mai abbandonata. Una fiaba ambientata nella modernità, vinti che sono vittoriosi nel loro entusiasmo e nella loro amicizia, sconfitti che sanno condire la propria amarezza con il sapore dell’ironia, di un calcio ad un pallone vissuto come un’avventura da condividere, simbolo di un sentire collettivo autentico e innocente. In un abbraccio delirante e commovente vivono i loro sorrisi e le loro lacrime, un caleidoscopio di profondità e leggerezza che si sposano con la bellezza di un teatro che si può toccare, ma intangibile come un’emozione.

Ho sempre raccontato storie di personaggi carichi di umanità, fragili e trasognati. Il mio teatro è costruito riproducendo il linguaggio dei sogni. Procede per allusioni, associazioni di idee. I ricordi emergono come bollicine che tornano a galla in una bibita che ammazza la sete nelle giornate di caldo fuoco. Cerco di costruire immagini rarefatte, sospese in un tempo inventato, leggero. Amo i colpi di scena, i finali a sorpresa, le macchine teatrali, la magia e l’illusione. (Daniele Finzi Pasca)

Un teatro che accompagna lo spettatore a scrollarsi di dosso tutta la tragedia che l’umanità vive quotidianamente, renderla materiale tridimensionale in cui lo spazio e il tempo vengono trasfigurati attraverso l’autenticità dell’emozione, di quelle passioni capaci di ridare vita e energia alla cupezza che molto spesso diventa contagiosa nella vita e la ingrigisce anche nei suoi aspetti più allegri e vitalistici. Un mondo in cui bisogna abbandonarsi senza voler spiegare tutto, lasciare che la bellezza e l’insensatezza delle cose abitino le nostre anime, troppo spesso aggrappate alla tristezza, per lasciarle volare e riprendere quota su colori e densità e narrazioni piene di gioco e forza.

È una cosa pazzesca fondata sull’amicizia di quattro uomini che condividono una fatale passione per il football. Gigantismi a parte, ho scoperto che Finzi Pasca è un minuzioso autore e regista di teatro. Quello che risalta, in Azul, è fondamentalmente un ritratto tridimensionale di esseri umani. Gente empatica della domenica di cui ti ricordi e magari continui a domandarti: che ha detto? che ha fatto? Persone che ti suscitano emozioni primordiali, tra l’infantile, il drammatico, il fanfarone, il giocoso. (Stefano Accorsi)

Non c’è un solo Azul ma sempre uno spettacolo diverso, chiaroscuri e luci che danno forme cangianti ai personaggi e alle loro emozioni, in un luogo dell’anima questa Montevideo, dove l’immaginario contemporaneo si arricchisce di prospettive ancestrali, di abissi da scandagliare con la risata o il dramma profondi come il cuore umano, ineffabili come il legame senza tempo che lega questi individui a metà tra la realtà e vari mondi letterari che li hanno partoriti.

Figure senza tempo che non hanno avuto madri generatrici. Archetipi che nella loro identità si richiamano oggi a Pinocchio, Adamo, il Golem e Frankenstein. A me spetta un po’ il ruolo di narratore, di direttore d’orchestra del gruppetto, e il mio prototipo è un Pinocchio cinquantenne, uno che ha deciso di crescere in Sud America. Chissà con quale natura, con quale catarsi. (Stefano Accorsi)

Ancora una volta un teatro che sa affascinare, una meravigliosa avventura che diverte e incarna, che parla di passioni moderne e antiche, di personaggi così a noi vicini e così lontani come il sogno, un’esperienza da vivere al di là delle parole e i pensieri che tendono a formare pregiudizi limitanti, una partita da giocare con l’entusiasmo di un clown rigato da lacrime nere, questo e molto altro si può trovare nel grido di Azul.

Con Stefano Accorsi, e con Luciano Scarpa, Sasà Piedepalumbo, Luigi Sigillo scritto e diretto da Daniele Finzi Pasca, produzione Nuovo Teatro, diretta da Marco Balsamo, in coproduzione con Fondazione Teatro della Toscana, foto Filippo Milani – Courtesy Saverio Ferragina

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