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Buoni da morire

In scena al Teatro Quirino di Roma fino al 15 maggio 2022 - recensione

In scena al Teatro Quirino di Roma fino al 15 maggio 2022

Una coppia alto-borghese, godendosi il tepore della lussuosa casa in un quartiere elitario, progetta viaggi e qualche azione caritatevole.
È la vigilia di Natale e la moglie è assalita da forti scrupoli morali che la spingono a condividere la festività con i meno fortunati, cui decide di donare vestiti e pellicce, non più simbolo di status ma calda protezione per chi vive all’addiaccio.
Attanagliata da un afflato di compassione per i diseredati, Barbara vuole prodigarsi per lenire gli affanni di chi non è stato beneficato dalla sorte e dedicare la più significativa festa cristiana a esprimere concreta solidarietà ai poveri, per dare un senso più concreto e profondo alla vita privilegiata che hanno condotto finora.
è meno motivato, teso a proteggere la professionale rispettabilità di affermato
cardiochirurgo, tuttavia, disposto ad assecondare le esigenze emotive della moglie, la accompagna a distribuire generi di conforto ai senzatetto della città.
Intanto, in casa monta l’ansia per le concitate telefonate del figlio, arrestato all’estero per un’intemperanza giovanile e il padre, sfruttando conoscenze e segretarie, deve organizzare una rapida partenza insieme al “quasi consuocero” per trarre i ragazzi dalle grane.
Essere buoni in modo stereotipato a Natale forse non è difficile, se si dona il superfluo e un po’ del proprio tempo ritagliato tra le pieghe di una vita frenetica in cui lo stress funge da supporto al successo. Basterà?
La mattina di Natale il destino suona alla porta sotto le spoglie di un barbone. È l’occasione che mette alla prova l’autenticità della solidarietà, perché uno straccione maleodorante nel proprio salotto, che calpesta con inzaccherate ciabatte un costoso tappeto e si siede coi pantaloni bagnati sul divano Chesterfield travalica ogni buona intenzione. Ma la realtà supera l’immaginazione: il barbone cencioso e alticcio è Ivano, vecchio compagno di liceo che ha rintracciato il chirurgo da un biglietto da visita caduto accidentalmente.
La compassione bussa alla coscienza. Emilio pensa di risolvere il problema facendo ricorso al senso pratico di regalargli un costoso giaccone, Barbara invece lo affronta con empatia: un bagno ristoratore e profumato, un rasoio che elimini i dreadlocks, abiti puliti e caldi e avviene la metamorfosi. Il vecchio amico assume le note sembianze e l’antica abitudine delle citazioni latine come ai tempi della scuola, quando era il più bravo.
A imprimere un crisma di rinascita al quadretto familiare, arriva la telefonata del figlio che tutto si è appianato. Gianni Clementi delinea uno spaccato di routinaria vita borghese in cui considerazione di sé, carriera e prestigio professionale si intrecciano a futili esigenze di ritocchi estetici e acquisti compulsivi, ma la sua attenzione alle tematiche sociali e di costume lo induce a spezzare questa monotona modalità di vita familiare istillando un’inquietudine nel soggetto più sensibile, la donna, e un desiderio che vada oltre l’apparenza. L’intreccio della drammaturgia farà emergere in tutta la sua forza dirompente tale bisogno di andare verso l’altro da sé, pur con i toni tenui della commedia.
La regia di Emilio Solfrizzi conduce con mano lieve gli eventi in cui sono coinvolti i personaggi. Debora Caprioglio è freneticamente ansiosa e altruista, sinceramente legata al ricordo della trascorsa amicizia scolastica e apprensiva al pensiero del freddo gelido nelle strade innevate. Gianluca Ramazzotti è un serioso e autoreferenziale professionista in carriera e Pino Quartullo regala momenti di comicità, dapprima con un inverosimile abbigliamento da barbone e poi inanellando, in frac, un fuoco di fila di citazioni latine, memore dei successi scolastici e dello stupore che suscitava nei compagni.

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