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Pour un oui ou pour un non

Al Teatro Argentina di Roma fino al 5 marzo 2023

Una scrittura leggera, aerea e interlocutoria come se i due ex amici sul palcoscenico sfiorassero i lunghi anni trascorsi lontani l’uno dall’altro con la levità del ricordo.

E invece, tra le parole dette, emergono pregnanti e si radicano le parole non dette, ma anche quelle dette con un’intonazione critica o beffarda e, ‘per un sì o per un no’ tutto cambia.

È tutto qui il senso del testo di Nathalie Sarraute, che Umberto Orsini e Franco Branciaroli affrontano sfidandosi in punta di fioretto, con la naturalezza di due maestri veterani del teatro.

Un uomo (Branciaroli) va a casa di un amico che non vede da anni (Orsini) per chiarire i motivi del loro allontanamento. Il padrone di casa ribatte che non è successo nulla che si possa esprimere, poi, tra frasi vacue e sospensioni ammette che l’intonazione con cui l’amico ha ribattuto “Ah! Bene” al racconto di un suo successo è stata da lui interpretata come contenesse una nota di sarcasmo. Un nonnulla, per un sì o per un no, che ha cambiato il corso delle cose, scavando un baratro e provocando lacerazioni insanabili. Ormai da tempo vive isolato, come un alieno che osserva il mondo dalla finestra, pensando “la vita è là”.

L’altro, invece, ha famiglia e amicizie e contrasta il nichilismo di O. con i versi di Verlaine “Le ciel est, par dessus le toit”.

O. aveva persino interpellato gli amici per avere un parere, e la querelle si era ingigantita scavando un fossato. Le parole feriscono più di un’arma e diventano protagoniste.

Adesso O. salta sul tavolo e scrive sul muro “degnazione”, poi va al computer e videochiama degli amici sottoponendo la questione, che rimane irrisolta. B. è stupito e vuole andare, afferra il cappotto, poi rimane tentando ancora di capire e scrive sul muro “geloso”, accennando passi di danza al ritmo di una fisarmonica che sale dalla finestra aperta.

La questione è sottile e la tensione è palpabile, appena affievolita da qualche battuta ironica che fa sorridere il pubblico.

Repentinamente e inaspettatamente arriva la scena finale. Sipario.

Nathalie Sarraute, scrittrice francese di origine russa che ha attraversato tutto il Novecento ed è stata esponente del Nouveau Roman (o antiromanzo), ha introdotto nella sua produzione narrativa il concetto di “tropismo” cioè movimenti, gesti, dialoghi che si orientano verso il limite della coscienza creando una scissione interiore tra l’impossibilità di esprimere una sensazione e il bisogno di prendere le distanze. Mutuato dalla fisiologia, nell’uso letterario il termine indica una forza inconscia breve e intensa che spinge ad agire in un certo modo.

La parete di fondo della scena è abbagliante (luci di Carlo Pediani), occupata da tre alte librerie bianche colme di libri anch’essi bianchi (che sembrano vuoti di parole), fronteggiate da un tavolo nero su cui è posta una candida lampada di design e un contrastante divano rosso punto focale della scena, a sinistra una finestra e un impianto stereo contro la parete di grafite che funge da enorme lavagna. Anche gli attori sono vestiti di nero e si fronteggiano e si muovono ininterrottamente attraverso il palcoscenico. La contrapposizione bianco/nero riflette la dualità per ‘un sì o per un no’, il cui nucleo è il divano rosso, di cui nel finale si comprenderà la funzione e il significato simbolico.

Pier Luigi Pizzi torna al teatro e firma regia, scene e costumi di questo allestimento moderno e dinamico, in cui anche l’agilità degli interpreti si discosta totalmente dalla loro anagrafe.

Umberto Orsini e Franco Branciaroli cesellano le parole, l’uno con voce nitida l’altro con accenti rochi e a tratti petulanti, accompagnandole con l’agilità dei gesti e modulandole con un ampio registro di intonazioni, frutto di un mestiere e un’esperienza da autentici virtuosi.

Un’alchimia e una sinergia tra autore, regista e interpreti che fissano una pietra miliare del grande teatro contemporaneo.

 

Tania Turnaturi

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