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Sull’Appennino di Dino Campana

fotografie ed impressioni di viaggio - Emiliano Cribari

“Alle mie scarpe sporche”

Questa dedica probabilmente è una delle cose più dolci e di carattere che abbia letto ultimamente. In quattro semplici parole si nasconde un intero mondo fatto di passione e fatica, di strade sterrate, di fango e soddisfazione.

Emiliano Cribari: scrittore, poeta, fotografo e camminatore. Un animo sensibile dal passo riflessivo e contemplativo, riesce ad immortalare istanti anche senza la macchina fotografica, congelando il momento in un silenzio o in un verso poetico. Con il suo ultimo libro ‘Sull’Appennino di Dino Campana‘ ci permette di riscoprire la vita del poeta attraverso i sentieri da lui battuti. Emiliano dal 2019 organizza anche escursioni letterarie nei boschi toscani.

Emiliano ben trovato, in cosa consistono queste tue escursioni letterarie?

Ciao Daniela, te lo spiegherò in poche parole: sono occasioni per stare in silenzio nei boschi, a tratti rapiti da pagine di libro: mi piace leggere Pavese, Fenoglio, Rigoni Stern, Antonia Pozzi, Campana, Bobin. Poeti e scrittori che amo, e che hanno inseguito il sublime nell’erranza, alla ricerca di altri (e alti) sentieri oltre quelli fatti di terra.

In questo tuo ultimo libro presenti al grande pubblico Dino Campana, poeta errante dall’inusuale temperamento; come ti sei appassionato alla sua storia?

Campana è stato (anzi è) un grande poeta. Non laureato (cito Montale) ma colto, capace di una scrittura ricca d’echi, di rimandi – raffinati – ad altri autori (filosofi e scrittori). Generalmente, si associa Campana a due parole (anzi tre): la prima è manicomio (dove Dino, a partire dal 1918, fu internato per oltre quattordici anni, fino al giorno della sua morte) mentre la seconda è un nome di donna: Sibilla Aleramo, una scrittrice tra le più note d’inizio Novecento, con la quale nell’estate del 1916, tra le montagne della Romagna toscana, avvampò un’indomita passione. Per me, al di là di tutto questo, Dino è l’inquietudine e il candore, la rabbia e la dolcezza, è egli stesso un’idea di poesia: di tutto il tormento che la abita, di tutta la luce che l’abbevera.

Pagina dopo pagina vai alla ri-scoperta dei sentieri battuti da Campana, quasi come a voler sottolineare l’importanza che assume il contesto naturale nel quale ha vissuto e girovagato il poeta.

Proprio così Daniela, non si può scindere l’uomo dal paesaggio che lo ha accolto. Perché Campana fu sì un grande poeta, d’accordo, ma fu anche e soprattutto un viandante, della categoria dei “fuggitivi”. Camminò quasi per tutta la vita: in Italia, oltre le Alpi,  addirittura in Argentina! Nel mio libro scrivo che Campana deve essere letto camminando: è una provocazione, certo, ma è quello che è successo a me: io ho iniziato a vibrare con lui quando ho iniziato a leggerlo nei boschi, sui sentieri dell’Appennino tosco-romagnolo. Da allora, non sono più riuscito a smettere.

Una ‘vita errabonda’ la sua, come la descrivi tu, ad ogni sua fuga seguiva un ricovero coatto in manicomio. Le foto in bianco e nero che accompagnano la lettura, sembrano suggerire quell’irrefrenabile bisogno di fuggire e la ricerca incessante di un luogo al quale aggrapparsi. Ma quali sono i percorsi del Campana?

Direi quasi tutto l’Appennino tosco-romagnolo: da Marradi, dove Dino ebbe i natali nel 1885, fino ai confini più remoti della Valle del Falterona, dove tra il 1910 e il 1917 Dino fece almeno tre incursioni. La più nota è senz’altro la prima (datata 1910), quando infatti partì da Campigno (un paese vicino a Marradi) diretto al santuario francescano della Verna: qui, camminando, osservando, origliando l’autunno piovoso delle montagne “di casa”, presero vita alcune tra le pagine migliori dei Canti.

“…il cammino come cura del corpo delle parole…”

Emiliano che cos’è un camminatore?

Un’eccezione. E, anche per questo, un cercatore, un inventore di domande (più che di risposte). Una creatura dedita all’arte – sacra – del silenzio. Dati i tempi in cui viviamo, direi anche un domatore di spettri. Cammina chi ha pace nel silenzio, chi sfiora l’equilibrio col pensiero.

Secondo te, ai giorni nostri, Dino avrebbe avuto decine di migliaia di followers sui social?

Non credo. Sicuramente, a differenza di allora, sarebbe stato inquadrato (in maniera corretta), curato, e insieme incluso. Premesso che stiamo parlando per assurdo, io dico che oggi uno come Dino non avrebbe scritto una parola.
Cosa spinge un uomo a camminare così a lungo da solo nei boschi?
Nel caso di Dino l’inquietudine, la mania di persecuzione, ma prima ancora il bisogno, la mancanza di un’alternativa: non avendo un centesimo in tasca, l’unica cosa che poteva permettersi erano le suole delle scarpe, anche quando doveva (o voleva) coprire distanze folli. Nel mio caso l’inquietudine, la fame di silenzio, di spazio, ma anche il disgusto verso quest’epoca, inumana e spoetizzata.
Il tuo è un vero e proprio tributo all’erranza, a pagina 39 riporti alcuni brevi passaggi di un’intervista al poeta
che svelava candidamente “Ero spinto da una specie di mania di vagabondaggio. Una specie di instabilità mi spingeva a cambiare continuamente.” Un chiaro tributo al viaggio inteso come impulso ed irrequietezza.
Permettimi un’ultima domanda Emiliano prima di lasciarci, come consuetudine amo fare questa domanda a tutti gli autori che incontro perciò ti chiedo: cos’è il viaggio per te? L’occasione per cambiare, sia aria che parole. L’occasione per conoscere, per crescere. L’occasione – spero anche, un giorno o l’altro – per non tornare.
intervista di Daniela Miraglia
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