Antonino Stampa
FIORI DI CALENDULA MARITIMA
Recensione di Tito Cauchi
Antonino Stampa, siciliano, laureato in filosofia, ha insegnato Lettere, innamorato della sua terra
ha voluto dedicare al Trapanese, dove ha avuto i natali, la raccolta Fiori di Calendula maritima
(Guido Miano Editore, Milano 2024). Come meglio spiega in chiusura Angelo Troia, i fiori di
calendula maritima, sono in pericolo di estinzione; unici al mondo crescono sulla costa trapanese.
Essi mi suggeriscono la metafora del terremoto del 1968, argomento del libro, che sconvolse i
territori della Valle del Belice, quando l’Autore allora aveva 22 anni. Rimane un ricordo indelebile
in tutti i siciliani, soprattutto in coloro che appartengono alla generazione del Nostro.
Il volume comprende cinque sezioni (Come un battito d’ali, Noi e gli altri, Quel che lasciamo,
Universo, Belice 1968-2018); i primi quattro sono contrassegnati da una numerazione romana
progressiva fino a XXXI, la quinta sezione è espressamente orientata al terremoto e i suoi
componimenti hanno numerazione autonoma fino all’XI. Ricordiamo che la Valle del Belice (con
l’accento aperto sulla i) comprende i Comuni di Gibellina che è quello maggiormente colpito,
Partanna, Salemi e Castelvetrano, tutti in provincia di Trapani. Antonino Stampa si presenta con un
andamento piano, sciolto e leggero, dovuto al garbo espressivo e all’etica dei temi toccati. Lo stato
d’animo che lo avvolge gli consente solo barlumi di luce e sprazzi di gioia, di gioia vissuta e
lontana.
Marco Zelioli (Monza, 1951) ha dedicato la sua vita alla scuola risalendone i massimi gradi nella
carriera e occupandosi dei più disagiati; ha pubblicato una decina di libri tra poesia e saggistica.
Nella prefazione si avvale anche dei saggi di Enzo Concardi che incontreremo, confermando la
dolcezza dell’espressione, quasi una carezza dopo le ferite e le sofferenze, come i versi brevi
suggeriscono. Meditazioni sulla condizione umana accostata alla natura, entrambe paragonate alla
storia eterna del conflitto tra il Bene e il Male, sembra che si vanifichi il sacrificio di Cristo. Le
ferite alla terra e alle case sono simili a quelle sui corpi che, cinquant’anni trascorsi, non riescono a
cancellare; ma la speranza non muore mai, pronti a riemergere. Per chi ama i propri luoghi del
cuore, mi piace riportare quanto viene citato nella prefazione: Goethe diceva della bellezza: «La
poesia / non è nelle cose, / ma negli occhi / di chi / le guarda».
Antonino Stampa rivive quell’evento tragico. L’evocazione del sisma è chiara e immediata, è
Come un battito d’ali: «Un giorno di sole / nel pieno dell’inverno // e capisco / che questa mia vita /
è cogliere il sole / prima che la tempesta / mi scuota» (I, Gennaio). Evoca alcuni episodi degli
abitanti, degli incontri fra i giovani corpi, sente su di sé la sicilianità fatta di mille storie che hanno
attraversato l’Isola. «Canto / questa terra arsa / che mi asciuga, / questo vento / che mi leviga, /
questo mare che s’alza/ in tempesta» (XIII, Siciliano). Evoca la storia e le antiche abitudini, ora in
contrasto con gli abusi di ogni genere; si avverte il suo ritorno nell’Isola. Le sue soste sono anche in
altre parti della Sicilia, come per esempio di fronte a Ortigia (Siracusa) in compagnia di Emilia,
«Ora, in pensione». Non si riconosce nella nuova realtà, si sente smarrito. Cita il Leopardi:
«profondissima quiete io nel pensier mi fingo…» (XXIX), ma dubita che il pianeta continuerà in
eterno.
Belice 1968-2018, la quinta e ultima sezione, come aveva avvertito il prefatore, si presenta simile
a un poemetto; il primo componimento, brevissimo, è più che lapidario: «Quella notte / morì una
Sicilia. / Dopo / nulla è nato, / qualcos’altro / è venuto» che rende il senso della scossa inaspettata.
Il giovane Antonino Stampa allora era dedito ai lavori dei campi, con la mula; in seguito ha
cambiato vita. Non indugia nella descrizione sulle ferite, bensì abbozza appena un cenno, direi,
cronometrico al momento cruciale del 15 gennaio 1968. «Nel nero della notte s’aprì la terra», le
case sventrate «…svelano / pudori d’affetti. / Sotto le pietraie / giace la memoria» (V sez., V
componimento). I morti vengono coperti di calce viva per spegnere i cattivi odori, non c’è il tempo
per fare di più. A malapena riconosce i luoghi ove muti ci si interroga.
In chiusura i due saggi di Enzo Concardi relativi ad altrettanti precedenti opere da cui risaltano le
comparazioni di poetica di Antonino Stampa, ci presentano un uomo di meditazioni, come
preannunciato nella prefazione. Il Nostro si è nutrito dello spirito della Magna Grecia e dei miti
omerici. Così lo sguardo rivolto all’orizzonte del mare e ai profili della montagnola (cioè al monte
di Gibellina, nome di derivazione araba), ce lo accostano allo spagnolo Juan Ramón Jiménez (1881
– 1958) e al poeta e filosofo portoghese Anthero de Quental (1842 – 1891) sul legame con il mare e
con il tema della morte. Gli orizzonti della natura sono come una preghiera per chi nasce e lavora a
contatto di quei luoghi dove la vita stessa è preghiera. Poetica che somiglia spesso a quella
ungarettiana. Ogni altro commento rischia di apparire retorico.
Tito Cauchi
20 giugno 2024
ANTONINO STAMPA, Fiori di Calendula maritima, prefazione di Marco Zelioli, Guido Miano Editore,
Milano 2024, pp. 84, isbn 979-12-81351-29-5, mianoposta@gmail.com.