Un nuovo Tannhäuser all’Opera di Francoforte
Successo di pubblico e di critica per il nuovo Tannhäuser dell’Opera di Francoforte. Il regista
sudafricano Matthew Wild, al suo debutto sul Meno, trasforma Tannhäuser in Heinrich von
Ofterdingen, uno scrittore fittizio rifugiatosi negli Stati Uniti dopo l’ascesa al potere dei
nazisti e a cui viene offerta una cattedra presso l'università cattolica Maris Stella ai tempi del
maccartismo. Heinrich, che è anche autore del romanzo bestseller “Montsalvat” per cui
riceve il Premio Pulitzer nel 1956, è combattuto fra la sua omosessualità repressa e il
necessario ossequio a una comunità rigorosamente eterosessuale e conservatrice. Un’anima
divisa fra pulsioni individuali e ordine prestabilito, proprio come il Tannhäuser originale.
Questo letterato di fantasia rimanda anche le figure di romanzieri omosessuali come
Thomas e Klaus Mann e Christopher Isherwood.
Il primo atto (quello del Venusberg) ci mostra Heinrich von Ofterdingen che mentre lavora
invano al suo nuovo romanzo in una stanza di albergo è assalito da prepotenti fantasie
erotiche e letterarie, portate in scena da attori e ballerini ginnici e muscolosi. Un flusso di
coscienza disordinato e vitale che evoca personaggi mitologici come Bacco, Cupido o
Ganimede. Il baccanale resta comunque tutto nella mente del protagonista, non c’è uno
scatenamento fisico della passione. Anche Venere è un è essere ambiguo, di sicuro molto
più simile a un’allucinazione mortifera che alla serenità di un quadro di Botticelli. Dzhamilja
Kaiser, mezzosoprano dal timbro caldo e scuro, pur con il viso dipinto di nero, la testa calva
e un tunicone sformato riesce a darne una rappresentazione accattivante. Alla fine, Heinrich
von Ofterdingen riesce in qualche modo a vincere le sue pulsioni e a fa ritorno all’accademia
dove viene accolto dagli altri docenti (i cantori medievali dell'originale).
La gara di canto del secondo atto diventa una competizione poetica, ovviamente a scopo di
beneficienza, proprio fra i professori dell'università. La contesa avviene nell'aula magna
affollata di studenti. Le gonne sotto il ginocchio (costumi di Raphaela Rose) e le capigliature
(a dominare sono chignon, code e cerchietti) sembrano uscite da Happy Days o da Grease.
La banda di ottoni del college in uniforme introduce la gara. Tutto fila più o meno liscio
finché le passioni prendono il sopravvento e Tannhäuser bacia uno studente. Scoppia il
pandemonio. Gli universitari si trasformano in una folla omofoba. Le studentesse, che prima
lo imploravano trasognanti di firmare le loro copie del suo libro, stracciano le stesse pagine
e gliele gettano adesso con disprezzo. Guidati da un Biterolf fuori di sé gli altri professori lo
pestano a sangue. Finché non interviene Elisabeth e raffredda gli animi.
Con il terzo atto si torna alle stanze di hotel, dove Heinrich von Ofterdingen si suicida con
una overdose di pillole. E qui viene alla mente anche la vicenda di Alan Turing, il grande
matematico e logico inglese che fu arrestato per omosessualità, costretto poi alla
castrazione chimica e infine suicida nel 1954. Elisabeth invece sopravvive, inizia a sua volta a
scrivere e pubblica anche lei un romanzo di successo. Assieme alla fama letteraria arriverà
anche la riabilitazione di Heinrich von Ofterdingen alias Tannhäuser.
Matthew Wild aggiunge così un finale originale a una storia coinvolgente, una storia con una
sua logica interna dove tutto si tiene. Una narrazione divertente, spesso brillante, come la
gara di poesia davanti agli studenti del college. Bello anche il colpo d’occhio con ambienti
sfarzosi (scene di Herbert Barz-Murauer) e illuminati con maestria (luci di Jan Hartmann).
Tutto lo spettacolo acquista un approccio visivo quasi cinematografico. A tratti sembra
davvero di vedere un film su un campus americano anni '60. Magari “Il Laureato”.
La parte musicale della serata è altresì eccellente. Sotto la direzione del
Generalmusikdirektor Thomas Guggeis i cantanti, l’orchestra e il coro sfoggiano una
performance di assoluto livello. A Francoforte va in scena la versione viennese del 1875, che
tra le svariate rielaborazioni di Wagner dopo la prima performance a Dresda nel 1845, è
quella che più accentua il contrasto musicale tra il mondo sensuale di Venere e quello
spirituale della Wartburg. In questa versione si propone anche una versione estesa del
“Venusberg Bacchanal” del primo atto.
Marco Jentzsch brilla nel ruolo del titolo con voce potente e sicura, senza peraltro mai
strafare. Il tenore è anche un grande attore e rimanda bene tutte le lacerazioni interiori di
un Tannhäuser maturo e un po’ crepuscolare, lontano da certi ardori giovanili con cui spesso
lo si rappresenta. Una figura davvero affascinante. Christina Nilsson disegna con voce ampia
e cristallina Elisabeth (di fatto il centro su cui si scaricano tutte le tensioni dell’opera) come
una fanciulla vulnerabile e allo stesso tempo coraggiosa. Emozionante il duetto estatico del
secondo atto, quando i due protagonisti si ritrovano. Wolfram von Eschenbach è un
personaggio complesso, anche lui innamorato di Elisabeth ma comunque amico del
protagonista e attaccato ai suoi ideali di purezza. In questo spettacolo è perfino un
sacerdote (arriva comunque a baciare Elisabeth in un attimo di trasporto eccessivo). Il
baritono sloveno Domen Križaj ne restituisce le sfaccettature con precisione ed eleganza. La
sua interpretazione di „O du, mein holder Abendstern“, in equilibrio fra naturalezza e
passione, è uno dei clou della serata. Austero e allo stesso tempo sensibile il Margravio (qui
in veste di rettore dell’università cattolica) di Andreas Bauer Kanabas, sempre sostenuto da
voce nobile e potente di basso. Il tenore Magnus Dietrich, da questa stagione in forza
all'ensemble di Francoforte dipinge un Walther von der Vogelweide giovane e sfrontato. Erik
van Heyningen (Biterolf), Michael Porter (Heinrich der Schreiber) e Magnús Baldvinsson
(Reinmar von Zweter) completano bene la squadra dei cantanti della Walburg. Il soprano
Karolina Bengtsson canta la canzone del giovane pastore, diventato una cleaning lady
dell’università, con freschezza incantevole. Come sempre superlativo il coro (qui i pellegrini
in marcia verso Roma sono sostituiti dagli universitari) istruito da Tilman Michael.
Calato il sipario applausi scroscianti salutano tutti i protagonisti della serata, con la platea
che li festeggia in piedi.