Una storia antica in confezione pseudo moderna.
ERMIONE
di G. Rossini
Una storia antica in confezione pseudo moderna.
A cura di Giosetta Guerra
Non so voi, ma io vado all’opera per ascoltare la musica e le voci, non per decifrare le intenzioni del regista. Perciò è naturale che io ami un’orchestra rispettosa delle dinamiche musicali e delle voci e cantanti capaci di entrare nello stile del compositore senza forzature
e senza concentrarsi nell’acuto finale strappapplausi.
L’allestimento scenico ha il compito di rendere comprensibile a tutti la vicenda e gradevole la visione dello spettacolo. Che senso ha quindi un allestimento cervellotico prevalentemente nero, dove si vedono a malapena i visi illuminati, dove è difficile distinguere chi canta e dove canta e intuire il significato di oggetti di cui non si capisce la pertinenza? Ermione, proprio perché poco nota, avrebbe bisogno di un allestimento classico e comprensibile, anche per la presenza di numerosi comprimari.
Una messa in scena con costumi e colori d’epoca avrebbe favorito l’ascolto e non l’avrebbe distolto.
Tutta l’opera è stata penalizzata da un allestimento molto scuro. (scenografo Heikescheele, regista Johannes Erath).
La scena era a volte arricchita con proiezioni laterali di nuvole e d’interno di un teatro, di discutibile pertinenza. (video di Bibi Abel).
La luce procurata da tre riquadri concentrici di un tubo al neon era fioca e non era sufficiente a far capire la distribuzione dei ruoli secondari. (luci di Fabio Antoci) Il coro è rimasto sempre relegato al centro di questi riquadri al neon, schierato in modo orizzontale e poi distribuito ai lati esterni del palcoscenico alla fine dell’opera.
Mi è sembrata piuttosto comica la presentazione iniziale dei coristi in fila indiana aggrappati ad un palo luminoso orizzontale, perché nella mia mente a questa scena si è sovrapposta l’immagine dei salami appesi nelle cantine di un tempo.
I tre personaggi principali, due tenori e un soprano, sono naturalmente emersi sul resto della compagnia.
Il tenore Enea Scala, nel difficile ruolo di Pirro, che è quasi sempre in scena, presenta un notevole spessore nella zona grave, una zona acuta brillante e comunicativa, ma l’emissione è ingolata nella tessitura centrale.
Musicalmente è più interessante il secondo atto sia per l’orchestra sia per le voci. Nel secondo atto le voci di Anastasia Bartoli nel ruolo di Ermione e del tenore Juan Diego Florez in quello di Oreste, hanno maggiore spazio e la possibilità di dimostrare le loro eccelse qualità.
La Bartoli ha una voce importante, estesissima, possente, duttile, espressiva, ora tonante, ora carezzevole. Juan Diego Florez fa sfoggio di uno stile di canto impeccabile, la coloratura è percorsa in ogni sua sfumatura, gli acuti e sovracuti sono sicuri e strabilianti, la prassi esecutiva
rossiniana è nelle sue corde, ma, esibendosi dal fondo e dall’estremo lato del palcoscenico, la voce è risultata di minor spessore.
Il mezzosoprano Victoria Yarovaya, nel ruolo di Andromaca, ha suoni intubati nella tessitura grave e luminosi in quella acuta.
Antonio Mandrillo, nel ruolo di Pilade, esibisce una discreta voce di basso. Gli altri artisti se la sono cavata, ma, visto il buio della scena, non sempre sono stati decifrabili.
Ecco i loro nomi:
Michael Mofidian (Fenicio),
Martinia Antonie (Cleone),
Paola Leguizamon (Cefisa),
Titianxuefei Sun (Attalo).
L’Orchestra Sinfonica della RAI, diretta da Michele Mariotti, è stata quasi costantemente in prima linea, facendosi apprezzare più nei brani delicati e carezzevoli che nelle parti energiche eseguite con troppo vigore, fino a coprire le voci.
Il Coro del Teatro Ventidio Basso di Ascoli Piceno, diretto da Giovanni Farina, è stato un elemento essenziale dal punto di vista sia vocale che scenico. L’amalgama sonoro è stato gradevolissimo e coinvolgente, purtroppo la sua presentazione in forma statica e quasi al buio non ha favorito la gradevolezza della visione.
I bei costumi di Jorge Jara non erano ascrivibili a nessuna epoca e quelli neri emergevano poco dal buio retrostante, nonostante i lustrini.
L’oscurità costante, la dizione poco chiara dei cantanti, la poca conoscenza dell’opera, hanno reso pesante il primo atto, in cui comparivano comunque auto imprestiti conosciuti, mentre il secondo atto, nel quale hanno dominato le voci di Ermione e di Oreste e la musica, è stato più accattivante, ha attirato maggiormente l’interesse e il consenso del pubblico.
Al termine applausi per tutti.
Foto di Amati e Bacciardi