“Si può vivere senza oro, ma non si può vivere senz’acqua, e non si può vivere senza coloro che amiamo”. Così la mamma dice al figlio, esprimendo un mondo di valori e diritti e sentimenti che non vale solo per l’Africa, dov’è ambientata la storia, ma per ogni latitudine. “Kirikù, un eroe piccolo piccolo” prende le mosse da un racconto tradizionale, narrando le vicende di un bambino che libera il suo villaggio dalla strega Karabà, che tiene sotto scacco gli abitanti fino a divorare chi si ribella. Un bambino prodigioso, che già parla quando è ancora nella pancia della madre, da solo si toglie il cordone ombelicale e fin da subito è in grado di badare a se stesso. Un bambino senza paura, coraggioso, fortemente fiducioso della bontà originaria delle persone, che lo porterà non solo a restituire l’acqua al villaggio, ma anche (non vogliamo però svelare la conclusione) a esiti imprevedibili con la strega.
“Kirikù, un eroe piccolo piccolo” è nei fine settimana fino al 14 aprile (sabato alle ore 17, domenica alle 15) in scena al Teatro Vascello di Roma (in via Giacinto Carini 78), storica e ultraconosciuta struttura cittadina che da anni offre anche una rassegna per bambini e ragazzi, denominata “Vascello dei piccoli”, di straordinaria qualità (come ben dimostra, per altro, il successo di pubblico che sempre accompagna gli spettacoli). A metterlo in scena sono La Fabbrica dell’Attore (compagnia residente) e l’Associazione Nomen Omen (attiva dal 2007, con particolare attenzione al teatro per l’infanzia). Da rimarcare subito è la regia di Danilo Zuliani, tutta giocata su diversi equilibri: pieni e vuoti, silenzi e parole, individuo e comunità, narrazione e performance.
Nello spettacolo Kirikù è sia una marionetta sia un attore: una soluzione registica che dà profondità al personaggio, offrendo una polisemia di visioni che lo rende poeticamente vivo e astratto nello stesso tempo. Lo spettacolo tiene insieme con grande maestria l’attività dei sei interpreti (Alessandra Maccotta, Aron Tewelde, Valeria Wandja, Jesus Issa Seck, Yonas Aregay Kidane e Francesca Piersante, tutti davvero molto bravi) con l’utilizzo del teatro di figura, cui si sommano ulteriormente la musica dal vivo (principalmente percussioni, eseguita da Gbai Ange Patrick) e le illustrazioni (di Alessandra Cavallari) proiettate sul grande schermo in fondo al palcoscenico. Molto curati i costumi (di Anthony Rosa), essenziale e centrata su oggetti evocativi è la scenografia, che lascia libero lo spazio al racconto e alle danze (le coreografie sono di Rossana Longo).
La storia, che nel 1998 fu anche tradotta in un film d’animazione del regista francese Michel Ocelot, ci trasporta in un mondo fantastico, dove trovano spazio il vecchio saggio e i “feticci” (gli sgherri della strega), il mostro della fonte e il cappello magico. E rende visibili princìpi e valori che tendiamo a dimenticare: la lotta per la libertà, la ricerca della verità, il legame tra genitori e figli, il superamento delle proprie paure. Ma soprattutto la fiducia nel prossimo: Kirikù, infatti, chiede di continuo perché la strega sia cattiva, non volendo considerare quella crudeltà come un fatto naturale (e la strega alla fine sorprenderà tutti, tranne ovviamente il piccolo protagonista). Uno spettacolo, dunque, che ci parla d’amore e della necessità di andare oltre i nostri pregiudizi: un messaggio importante, in questi tempi di intolleranza e di strisciante razzismo, che ci viene – non a caso, potremmo dire – proprio dall’Africa.