La satira sociale e le differenze di classe nel XXI secolo.
Dalla pellicola al palcoscenico si ripropone una vicenda che stigmatizza la realtà suscitando riflessioni e cinici risolini.
Un film di culto trasposto in teatro in una dimensione contemporanea, a distanza di quasi cinquanta anni perde un po’ della forza dirompente con la quale la pellicola di Lina Wertmüller focalizzava il clima culturale e sociale degli anni Settanta segnato da forti contrasti sociali, dalla lotta di classe e dalla contrapposizione politica fra capitalismo e comunismo, nord industrializzato e sud sfruttato, donne ricche ed emancipate e uomini retrogradi e primitivi. Era l’epoca degli scioperi, delle manifestazioni studentesche di piazza, della lotta armata, degli attentati terroristici, dei rapimenti che sconvolsero i cosiddetti “anni di piombo”. Questi temi sono ormai un retaggio storico e non sono presenti nei dialoghi dell’adattamento teatrale. Restano tuttavia immutati il tratto ironico, umoristico e grottesco dei dialoghi e degli atteggiamenti dei due protagonisti in una contrapposizione sociale adattata ai tempi attuali: il ricco nord e l’emigrazione di seconda generazione, la risoluta e proterva milanese Raffaella Pavoni Lanzetti e il marinaio siciliano Gennarino Carunchio che coltiva l’idea arcaica che la donna debba servire l’uomo.
Il regista Marcello Cotugno, cui si deve anche l’adattamento scenico del film, sceglie di raccontare l’Italia degli anni Venti del terzo millennio, distante dalla feroce satira del film e più connotato da un umorismo d‘occasione. Adesso i temi sono la crisi climatica e Greta Thunberg, la presenza della plastica in mare, la pandemia da Covid-19, l’immigrazione irregolare e la fluidità di genere.
La ricca milanese Raffaella Pavoni Lanzetti trascorre le vacanze nel Mediterraneo sul suo yacht, in compagnia di una coppia di amici progressisti, avendo come equipaggio Pippo e Samir detto Gennarino Carunchio, figlio di immigrati tunisini, allevato in Sicilia dai pescatori dopo la morte della madre, misogino e legato alle tradizioni. Durante una gita in gommone il motore va in avaria e i due naufragano su un’isola deserta. I ruoli si ribaltano contro ogni schema di potere sociale ed economico, lontani dagli stereotipi culturali: la sopravvivenza impone adattamento e accettazione delle regole del più forte, in questo caso l’uomo, capace di ricavare sostentamento dal mare. Ridotta a una condizione primordiale scevra di barriere sociali, la natura impone le sue regole e la “bottana industriale” petulante e reazionaria che sulla barca trattava con sussiego i marinai si innamora del servo che la maltratta e la costringe a mangiare pesce crudo (d’altronde i ricchi borghesi mangiano il sushi!).
Ci sarà un futuro per questa passione selvaggia? Sappiamo che lo status sociale prevarrà sui sentimenti.
I due protagonisti Giuseppe Zeno ed Euridice Axen sono instancabili nel continuo rincorrersi e scontrarsi, accusarsi e rovesciarsi addosso fiumi di parole, in una prova di potente fisicità e con una recitazione che ben connota le differenze linguistiche e culturali di provenienza, mostrando affiatamento e attenzione ai tempi comici. Il personaggio di Gennarino è definito a tutto tondo come portatore di un retroterra culturale e ambientale, ben veicolato dalla cadenza e dalla sintassi siciliane. Raffaella è verosimilmente altezzosa e indisponente.
Gli altri interpreti sono Barbara Alessi, Alfredo Angelici e Francesco Cordella nel ruolo degli amici e di Pippo comandante della barca.
Felice la soluzione scenografica di Roberto Crea con le vele dello yatch, il gommone e l’isola con la casupola circondata da piante, definiti dal light design di Pietro Sperduti.
Le musiche sono funzionali allo spettacolo con le canzoni pop italiane degli anni Sessanta e Settanta e pezzi di musica trap araba che accompagnano la gita sul gommone e la sopravvivenza sull’isola deserta.
Scrive Marcello Cotugno nelle note di regia: “Lo spettacolo è un racconto d’amore e di lotta di classe e, anche se il terreno di conflitto dei personaggi ha subito degli slittamenti dal 1974 a oggi, la crepa che li divide resta insaldabile: una destinata ad andare avanti per la propria strada di privilegio, l’altro destinato ad essere lasciato indietro. Lo spettacolo evoca il film senza imitarlo, traducendo la visione cinematografica in azione teatrale, sia con la presenza e la fisicità degli attori che in scena sudano, si rincorrono, lottano, si amano, sia ricorrendo a una dimensione simbolica che lascia aperto allo spettatore uno spazio di immaginazione e memoria, attraverso dialoghi grotteschi, struggenti o comici”.
Tania Turnaturi