con Antonella Raimondo, Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano, Manuela Schiano Lomoriello
disegno luci Massimo Abbate
scene e costumi Teatro a Vapore
assistente alla regia Raffaele Cesario
regia Luciano Saltarelli, Giampiero Schiano
produzione Teatro a vapore / Luciferoteatro
Uno spettacolo comico ed inedito “imbandito” intorno al cibo, al mangiare, nella sua accezione meccanica e simbolica. Una drammaturgia completamente nuova, per raccontare Napoli attraverso le vicende di strani e grotteschi personaggi, intrappolati in una trama dai toni noir, costretti a compiere azioni scellerate, figlie del caso, della sorte e della loro fame atavica quanto immotivata.
Uno spettacolo dissacrante, sulle nostre abitudini culinarie e sui retroscena culturali della “napoletanitudine”.
LA TRAMA
Ferdinaldo e sua moglie Rosanda versano in disastrose condizioni economiche. Per risollevare le proprie sorti decidono di raggirare un loro amico, il sempliciotto Gennargo, che abita sullo stesso pianerottolo.
Durante un pranzo, con l’aiuto di Antoniettella, ingenua ragazza presa da poco a servizio, convincono il timido amico a cedere loro un magazzino a fronte strada, avuto in eredità dalla madre da poco defunta, con la scusa di volervi aprire in società con lui un ristorante.
Dopo aver a fatica convinto Gennargo a firmare la cessione del locale, improvvisano un’ipotetica giornata nel futuro ristorante per dissuadere il pavido amico dallo stare nel locale, mostrandogli i pericoli ai quali si va incontro nella gestione in prima persona di un esercizio pubblico.
Durante la goffa messa in scena Ferdinaldo, fortuitamente, uccide Gennargo. Presi dal panico nascondono il corpo della vittima nella grande cella frigorifera che hanno in casa. Sopraggiunge inaspettato Cirenzo, fratello gemello di Gennargo e uomo di malavita, che, inseguito da un killer, si rifugia proprio a casa dei due coniugi. Incalzato dal sicario Cirenzo si nasconde nel congelatore e, solo dopo essere sfuggito all’agguato, s’accorge della tragica morte del fratello.
Decide quindi di sostituirsi in tutto e per tutto al gemello, costringendo i due coniugi a cibarsi del cadavere, sia per vendetta sia per disfarsi definitivamente del corpo.
Dopo qualche tempo gli eventi si capovolgono. Cirenzo e Antoniettella sono diventati amanti e proprietari del ristorante, Rosanda vedova di Ferdinaldo, tragicamente morto per una sincope.
NOTE DELL’AUTORE
In questa situazione così critica per il teatro italiano, e napoletano in particolare, mi chiedo cosa ci abbia spinto a unire le nostre forze per mettere in scena uno spettacolo. Non riesco a darmi una risposta convincente se non quella del piacere del gioco. Maccarune è soltanto un gioco, infatti, o forse la confessione di un sogno, inventato da chi la realtà la vive ormai come noiosa successione di eventi prevedibili e tappezzati di mediocrità.
Portiamo al pubblico ciò che questa città e questo popolo ora ci evocano nelle nostre elaborazioni oniriche. Poco importano la trama, i personaggi e gli eventi, che sono soltanto combinazioni/incontri più o meno razionali di uomini, donne, passioni e debolezze. Più nulla ci importa della realtà, della politica, del mondo, ma solo dell’irreale, dell’anarchia, dell’infinito.
Chi voglia trovarci un senso in ciò che raccontiamo lo faccia di propria spontanea volontà, con lo stesso sforzo con cui tenterebbe di trarre un significato da un sogno, che dopo pochi minuti dal risveglio è già oblio.