con Ambra Angiolini
regia di Giorgio Gallione
————
La signorina V è un bizzarro cartone animato balzato fuori dalla mente geniale di Stefano Benni, una delle penne italiane che meglio riescono a tratteggiare la natura umana, estrapolandola dal mondo reale e scaraventandola in una dimensione fantastica. Quattro gomitoli rossi, chignon ramati sulla testa di V, sono l’unica intrusione cromatica in una scenografia di alienante candore. Il bianco morbido dell’abito non ha però la stessa violenta intensità delle luci a neon, che si accendono e si spengono freneticamente al ritmo dei nervosi ricordi della protagonista. Una storia rocambolesca la sua, con una venuta al mondo fiabesca ma un passato, più o meno recente, del tutto realistico. V ha uno scompenso psicologico, causato dal suo sentimento di incompletezza: ha perso la sua metà, il suo W. La cerca nei suoi affetti scomparsi: nel nonno che le ha insegnato l’anarchia, nel coniglietto che ha rappresentato per lei un rifugio dai drammi familiari, in quella che ha sempre creduto essere un’amica, in un fidanzato che porta la matematica anche in camera da letto. Cercando, indagando, ricordando, V riesamina il suo trascorso con occhi diversi, ci vede quello che prima non riusciva a scorgere. Si scontra con temi importanti e con emozioni forti, prova a rispondere a quesiti irrisolti e irrisolvibili dalla mente umana, guarda con stupore la guerra, la povertà, la cattiveria, la depressione che ti rinchiude in una gabbia di psicofarmaci. V incarna la disillusione dopo il lieto fine delle favole, l’impatto col crudo mondo fuori dal paese dei coniglietti bianchi. Tutto quello che le era sembrato potesse essere il suo doppio col tempo non si rivela tale ed è costretta ad ammettere di averlo caricato lei stessa di aspettative e magia bianca. E se l’idea del suo doppio se l’era costruita da sola, il suo W non può che essere dentro di lei, lei delusa e tormentata, lei ipersensibile e coinvolta in ogni turbamento dell’armonia creata dalla sua mente.
Ambra Angiolini è una piacevole rivelazione teatrale, che ha saputo dare forma e voce a un personaggio complesso, che mostra ingenuo, fumettistico stupore per problemi concreti, davanti ai quali la sua natura infantile la obbliga ad avere una reazione forte, amplificata. L’interprete si muove sulla scena come farebbe una bambina, contorcendo i piedi, scomoda e insicura su un terreno che non sente saldo come le vogliono far credere. Il brano è forse un invito a non assuefarsi al male, a restare basiti ogni volta che lo si incontra, senza dover essere considerati per questo malati, psicologicamente instabili, matti. Ma come al solito Benni grida le sue parole sussurrandone il significato, e ogni spettatore può vedere in W il proprio pezzo mancante.