I fiorentini sono un popolo fortunato. Ogni mattina, scendendo in strada, non hanno altro da fare che alzare lo sguardo e osservare le meraviglie che la storia ha raccolto nella loro città.
Negli scorsi secoli, infatti, illuminati mecenati hanno sfruttato le loro ricchezze per finanziare i Michelangelo, i Botticelli e tutti coloro che con la loro arte potevano dare luce a Firenze.
Oggi purtroppo i mecenati sono estinti e si confondono magari con imprenditori che, come massimo contributo al sociale, finanziano squadre di calcio o contribuiscono al restauro di un’opera d’arte in cambio di visibilità e riconoscenza.
Dopo aver incontrato Inti Ligabue credo che dovrò rivedere questo mio ultimo pensiero.
Inti, che nel suo nome che significa ‘Sole’ ha il suo destino, è figlio di Giancarlo, paleontologo, archeologo, imprenditore di fama internazionale purtroppo da poco scomparso.
Inti ha vissuto la sua infanzia circondato dagli innumerevoli libri che popolavano perfino il pavimento di casa (le biblioteche ormai avevano tracimato) e dai meravigliosi reperti che il padre aveva scoperto e riportato alla luce in tutto il mondo.
Giancarlo Ligabue, che ha ricevuto ben cinque lauree honoris causa oltre alla sua conseguita alla Sorbona, ha infatti fondato nel lontano 1973 il Centro Studi e Ricerche che porta il suo nome.
Da quella data ha finanziato e spesso guidato in prima persona oltre 130 spedizioni in tutto il mondo.
Perù, Bolivia, Cile e Brasile grazie ai suoi scavi hanno restituito agli occhi del mondo importanti reperti archeologici che altrimenti sarebbero rimasti a riposare nell’oscurità indisturbati.
Ora Inti, in nome e ricordo del padre, ha letteralmente regalato a Firenze lo splendido allestimento presso il Museo Archeologico Nazionale fino al 6 marzo, della mostra “Il mondo che non c’era”.
E non lo ha fatto per nessun altro scopo se non quello di permettere a migliaia di persone di ammirare, sicuramente rapiti, in cosa consisteva il lavoro, la passione, di quel genitore che ha dedicato la vita a scoprire nuovi tesori.
L’emozione che traspariva dalla sua voce nel presentare l’evento dimostrava in maniera lampante di come un padre sia stato capace di trasmettere al figlio la sua passione certo che, oltre che a portare avanti l’azienda di famiglia, non fermerà quella splendida “macchina di ricerca” ma saprà dargli nuovo carburante per affrontare ancora sfide e continuare a disseppellire le meraviglie del passato.
Chapeau!