Fantasmagorico scintillio di voci e di suoni per l’ingresso del nuovo anno.
L’Orchestra Sinfonica Rossini è stata protagonista, insieme al soprano Maria Aleida e al violinista Henry Domenico Durante, del consueto concerto di Capodanno al Teatro della Fortuna di Fano.
Per l’omaggio a Rossini nell’anno a lui dedicato l’Orchestra si è presentata con una pagina piuttosto rara, la Sinfonia Al Conventello, composizione quasi magica di un Rossini adolescente (chi dice 12 chi 14 anni), ospite della ricca famiglia Triossi nella tenuta di Conventello di Ravennadurante le vacanze estive. Un adolescente che aveva già individuato il suo percorso, perché il suo stile è già riconoscibile. Ad un inizio maestoso segue la freschezza del presto dei violini, affiancati dalla voce calda dei violoncelli. Una pagina scintillante e trascinante anche grazie alla maestria degli orchestrali e del direttore Daniele Agiman, che si sono poi calati nel flessibile e leggero rincorrersi delle voci strumentali nella Sinfonia de La Scala di seta: coinvolgente il dialogo tra la trasparenza sonora del flauto e la voce densa del corno, tra le volatine di agilissimi violini e il guizzo cristallino dell’ottavino con le voci calde del clarino e del fagotto, voci che si riuniscono e si volumizzano nei famosi crescendo rossiniani.
Rossini è stato onorato anche dai virtuosismi vocali della belcantista Maria Aleida, che ha cantato “Giusto Dio” scena ed aria da Tancredi e l’aria della Contessa di Folleville “Partir, o ciel, desio” da Il viaggio a Reims. Il soprano cubano unisce eccellenti doti vocali a perizia tecnica di prim’ordine. Il timbro è bello, il suono pulito, la delicatezza d’emissione è arricchita dall’uso della messa di voce e dall’abilità ad eseguire eleganti scale discendenti, le espansioni acute sicure e luminose sfumano in preziosi filati o sforano la soglia del sovracuto con mirabolanti fuochi d’artificio. La cantante ha corpo vocale in zona grave, squillo e picchettati cristallini, eccellente duttilità, sovracuti estremi legati e tenuti, morbidezza del canto, è funambolica nelle agilità e nel canto di coloratura.
Ed è anche carina, sorridente e sta al gioco scenico. Ad un certo punto dell’aria della Contessa il direttore le ha passato il cappellino rosso ritrovato e lei se lo è messo in testa. Che volete di più? Beh, sì, io avrei voluto incontrarla dopo.
Nella seconda parte un salto nel tempo e nello spazio ci ha fatto approdare nella musica russa di fine ’800 con la Marche slave (marcia slava) op.31 di Tchaikovskij e nel secolo successivo con il concerto per violino op.48 in Do maggiore di D. Kabalevskij del 1948, col violino solista Henry Domenco Durante.
L’Allegro molto e con brio che apre il concerto per violino op.48 in Do maggiore dà l’opportunità al violinista di mettere in luce le sue abilità virtuosistiche: arcate a scatti, pizzicati, arcate fitte sopra un’orchestra densa e cupa che impiega gli strumenti a voce scura. La musica delicata e quasi romantica dell’Andante cantabile è realizzata con arcate più distese, a volte dissonanti e un’orchestra che esce dalla linea classica.
Nel Vivace giocoso emerge il contrasto tra la leggerezza dello strumento solista e la densità del tutto orchestrale, il violino è agilissimo e l’orchestra si destreggia a meraviglia nella festosità del ritmo musicale. Si avverte un certo formalismo in questa musica, infatti Kabalevski non era così avventuroso come i suoi contemporanei in termini di armonia, pur tuttavia le sue composizioni sono di piacevole ascolto e ricche di effetti brillanti.
La marcia slava op.31 composta da Čajkovskij nel settembre del 1876 per una beneficenza a favore dei soldati slavi feriti nella guerra serbo-turca di quegli anni si sviluppa in tre movimenti.
Il tema principale, tratto da una canzone del folklore serbo, intrisa di animo meditativo e sofferente, è evidente fin dall’introduzione del primo episodio, che è un Moderato in modo di marcia funebre (si bemolle), dai toni cupi (nell’organico c’è anche il basso tuba) e l’andamento morbido, i suoni ripetitivi rimandano una musica straniante, nella quale le arcate dei violini sembrano ghigni.
Nella parte centrale la musica si tinge di una certa allegria con i trilli dell’ottavino e la freschezza dei clarinetti e fagotti per esprimere la gioia della vittoria.
L’episodio finale (Più mosso, allegro) si sviluppa con un’ascesa sonora che sfocia in un tutto orchestrale lacerante con sonorità plateali, evidenziando l’intensa sofferenza umana portata dagli eventi bellici.
Pagina molto impegnativa che l’Orchestra Sinfonica Rossini, sotto la guida del M° Daniele Agiman, ha eseguito ed interpretato in modo eccellente.
Alla fine, per porgere gli auguri di un Buon 2018, è tornato Rossini con la notissima Cavalcata del Guglielmo Tell, risparmiandoci l’inflazionata Radesky March che ogni anno ci propina la televisione dall’Italia e dall’estero.
Applausi convinti di tutto il pubblico ai bravi interpreti solisti, ad un’orchestra consapevole e ben preparata, ad un direttore d’orchestra preciso, attento e coinvolto che dirige senza bacchetta.
Sarebbe opportuno presentare i brani al pubblico, che non è onnisciente. Del resto la musica, oltre che divertire, deve anche formare.
Per l’addobbo del palcoscenico sarebbe stata più elegante una composizione più grande di vischio, eliminando i sei vasetti di ciclamini.