Interessante appuntamento promosso dalla rassegna catanese Estate in Città 2018 nell’affascinante corte del Castello Ursino quello che ha visto in scena, per una replica straordinaria, l’Ippolito di Euripide tradotto, adattato e diretto da Nicola Alberto Orofino. Il regista catanese, già avvezzo a processi di riattualizzazione del mito, ha dato vita alla tragica vicenda greca conferendo essa nuovi spunti, verve recitativa e slanci tragicomici dai risvolti inediti. Lo spettacolo, frutto della residenza dell’Associazione Madè a Teatro in Fortezza 2018 e nato in collaborazione con Teatri di Pietra – Sicilia 2018, vede sul palco solamente quattro attori che, come in una roulette russa, si sdoppiano dando vita ai diversi personaggi della tragedia euripidea.
Non a caso sono solo i personaggi della vicenda a “sopravvivere” all’adattamento di Orofino: una scena povera di elementi e priva di qualsiasi rimando al mondo greco svela agli spettatori un giardino primaverile costituito da una panchina, un lampione, due muretti di marmo e poco altro. Ma lo spettacolo ha inizio in platea ancor prima che sul palco, con l’istrionica versatilità di Silvio Laviano che, a passi di swing e ammiccamenti vari, intrattiene il pubblico che prende posto e coinvolge le donne in sfrenate danze al ritmo di note canzoni anni ’50. Si entra così nel vivo della tragedia, che inizialmente ha il sapore cinematografico e un po’ stucchevole della commedia. La saga familiare che vede Fedra vittima dell’incantesimo della dea Afrodite, perdutamente innamorata di Ippolito, figlio del marito Teseo, giovane casto e devoto alla dea Artemide, trova il fulcro drammaturgico nel Coro, qui mirabilmente interpretato dal solo Silvio Laviano, “confidente” ora di Afrodite ora di Fedra, spettatore degli avvenimenti e aiutante improvvisato dei personaggi che si susseguono a ruota fra passioni proibite e sentimenti impossibili da contrastare.
Efficace l’intuizione registica di Orofino nell’accoppiare i personaggi secondo caratteristiche psicologiche opposte: Egle Doria è sia la combattuta e indecisa Fedra che la risoluta e potente Artemide; Luana Toscano interpreta la provocante e per certi versi malvagia Afrodite ma anche la Nutrice con il volto dipinto di nero, rimando alla schiavitù americana negli anni ’50; Silvio Laviano veste i panni, come accennato sopra, sia del Coro che dell’anziano Teseo che, una volta tornato in patria, deve fare i conti con il suicidio della moglie e gli inganni degli dei che faranno lui prendere l’errata decisione di uccidere il figlio tramite Poseidone. A questo sdoppiamento degli attori in scena fa eccezione Gianmarco Arcadipane, interprete di Ippolito. Etereo e quasi anonimo, è l’unico personaggio in grado di preservare la sua umanità fino in fondo, non lasciandosi andare all’impulsività dettata dai sentimenti.
In questo coraggioso adattamento la tragedia euripidea c’è ma non si svela se non attraverso i personaggi: alta la tensione che li vuole l’uno rivolto contro l’altro, vittima delle proprie passioni e per questo incapaci di fronteggiare le situazioni della vita. Per questo un doppio plauso va agli attori, capaci di “dividersi” in ruoli opposti pur conservandone l’integrità, interpretando una tragedia in continuo divenire chiusa in un eterno movimento che non si placa se non sul finale quando le dee, dandosi manforte, si fanno beffa degli uomini chiosando: “Miserabile è la vita degli uomini, travolti da emozioni e azioni nefande!”
Chiusa valida nel 428 a.C., anno della prima rappresentazione della tragedia euripidea, così come nel tempo storico in cui viviamo. A Nicola Alberto Orofino il merito di averla svelata e riattualizzata con questo riuscito adattamento scenico a cui, mi auguro, seguiranno altri.