martedì, Marzo 19, 2024

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Manuale di volo per uomo

Andato in scena al Teatro Puccini di Firenze

Manuale di volo per uomoRaffaello ha circa quarant’anni quando si trova, come succede, al capezzale della madre per assisterla negli ultimi momenti di vita. Non si vedono da tempo, quasi non si conoscono. Per colpa di lei, che l’ha abbandonato, chissà perché.

Raffaello ha il nome di un pittore e vive su una tavolozza bianca, su cui riesce però, piano piano, a dare qualche pennellata di colore.

È rimasto un po’ bambino, Raffaello: si meraviglia di tutto, anche delle cose più piccole. «Niente è più grande delle piccole cose» gli hanno detto e lui lo ha imparato bene.

Raffaello è quello che definiremmo un matto.

«Cosa c’è nella mente dell’uomo? Dove sono andati a finire i matti? Se non li vedo vuol dire che non esistono? E se esistono ancora, i matti, chi sono?». Parte da queste domande il viaggio che negli anni ha fatto Simone Cristicchi nel mondo dei manicomi e dei centri per la salute mentale, che ha avuto la possibilità di osservare da vicino, prima come volontario e poi come artista. In molti si ricorderanno Ti regalerò una rosa, la canzone scritta dal cantautore romano che si è aggiudicata la vittoria a Sanremo nel 2007. Pochi avranno visto il documentario nato dalla stessa esperienza, Dall’altra parte del cancello, in cui Cristicchi incontra matti, educatori, medici, artisti, infermieri, suore e persone appartenenti a più di una categoria tra quelle citate, altri a nessuna: erano capitati lì, al loro posto avremmo potuto esserci noi. Manuale di volo per uomo si inserisce in questo lungo percorso e alla luce di questo va interpretato. Chi ha già visto Cristicchi a teatro può rimanere deluso da uno spettacolo come questo, se lo considera come lavoro indipendente. Non c’è una scenografia accattivante, né una componente musicale rilevante; anche il monologo in sé non ha toni travolgenti. È un lavoro di una sorprendente semplicità, che di primo acchito può sembrare piattezza. Proprio questa essenzialità, però, rende fiabesco e struggente il racconto. Raffaello parla da solo, interrotto solo da qualche mugugno. Parla di sé e della madre, delle altre poche persone che ha incontrato nella sua vita. Positivo o negativo che sia, di tutte ha un ricordo definito, anche della madre che ha conosciuto così poco. Si è ricordato di lei e c’è, ora che lei ha bisogno. Chissà quanti si ricorderanno lui, poi. Chissà chi ci sarà, quando lui avrà bisogno, e se c’è stato qualcuno, quando ne ha avuto bisogno in passato. In un modo o nell’altro, Raffaello la sua tela l’ha macchiata, e poco importa se il disegno ha senso per tutti o solo per lui. Nella sua vita da emarginato, ha sperimentato il dolore e riconosciuto l’amore e ha anche imparato a volare.

Alla fine viene da chiedersi chi siano davvero i matti, se quelli che provano a volare o quelli che sanno a priori di non riuscirci.

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