martedì, Marzo 19, 2024

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Intervista a Edoardo Oliva (Teatro Immediato)

Incontro con il direttore artistico de “La Cultura dei Legami”

Edoardo Oliva
Edoardo Oliva e Valeria Ferri, in “Sophie” (Teatro Immediato)

È iniziata il 13 gennaio la quinta edizione de “La Cultura dei Legami”, la seguitissima rassegna teatrale che arricchisce il “secondo tempo” della stagione pescarese. Abbiamo incontrato Edoardo Oliva, regista ed attore della compagnia Teatro Immediato, nonché ideatore e direttore artistico de La Cultura dei Legami.

Un’occasione per parlare delle tendenze più attuali nel teatro contemporaneo e del grado di partecipazione (fisica ed emotiva) del pubblico nel nostro tempo. In particolare, cercheremo di analizzare con Oliva i meccanismi che hanno fatto sì che si impiantasse nel sistema teatrale italiano la forma dello spettacolo di narrazione, basato su di una semplificazione formale della comunicazione tra palcoscenico e platea, unito ad una contemporanea focalizzazione sulla dimensione della memoria.

Dopo i primi tre spettacoli, siamo giunti ad un primo snodo del cartellone 2019 de “La Cultura dei legami”. Un primo bilancio?

Il bilancio è assolutamente positivo. Da anni abbiamo un rapporto solido con il nostro pubblico, con il quale – come mi piace dire – continua una lunga ed intensa storia d’amore. E come in amore non bisogna aver paura di perdere la persona amata, che va accarezzata, sorpresa, abbracciata, scossa, spiazzata, coccolata, così è con il pubblico, che è fatto di persone con le quali va instaurato un rapporto autentico ed empatico, per evitare di ritrovarsi seduti in sala come fossili. Parlare in aridi termini numerici di pubblico non mi piace. Ma anno dopo anno sentiamo intorno ai nostri progetti un calore ed un entusiasmo da parte di un pubblico sempre crescente e ne siamo felicissimi ed orgogliosi.

Il cartellone di quest’anno è stato inoltre caratterizzato da una uscita anticipata degli spettacoli, rispetto alle edizioni passate…

In genere le edizioni del nostro Festival vanno da febbraio ad aprile. Quest’anno abbiamo anticipato alcuni appuntamenti a gennaio anche per poter rappresentare il nostro spettacolo “Sophie” il 27 gennaio giornata mondiale della memoria.

A giudicare dagli spettacoli visti fin qui, l’edizione 2019 de “La Cultura dei Legami” focalizza fortemente lo sguardo sul tema storico, in particolare sulla guerra. Qual è dunque il leitmotiv di questa edizione, il tema che ti ha guidato nella selezione degli spettacoli proposti e che li tiene uniti?

Sì, la Storia è il fil rouge, la poetica, il legame che unisce i protagonisti delle opere rappresentate. In particolare per gli appuntamenti teatrali, l’attenzione sarà rivolta al secondo conflitto mondiale e alla storia italiana degli anni settanta. Nel 2019 ricorrono ottant’anni dall’inizio della seconda guerra mondiale. In questo tempo sempre più smemorato, guardare al passato e soprattutto alle ferite sulle quali è stata ricostruita la nostra nazione e l’intero Vecchio continente, ci sembrava doveroso. Un’occasione per riflettere su fatti i cui echi non si sono ancora spenti e per cercare, voltandosi indietro, di “liberarsi dalla storia”.

C’è grande spazio anche per la musica nell’edizione di quest’anno. Le motivazioni di questa scelta ed i criteri seguiti nel selezionare il programma musicale?

Anche nella scelta della musica si mantiene la componente “storica”. Gli eventi musicali che proponiamo sono accompagnati da interventi a cura del Maestro Sergio Oliva che cercheranno – sia nel caso dei Carmina Burana, in una inedita trasposizione cameristica con la mia voce recitante, sia per il melodramma – di collocare autori e generi all’interno del periodo storico – culturale.

La musica partecipa come momento di sospensione rispetto al tema portante tracciato dagli spettacoli di prosa, oppure contribuisce a costruirlo?

Sì, ritengo che contribuisca a costruire e completare il tema storico proposto. Peraltro mi ripromettevo da anni di reinserire in rassegna degli appuntamenti musicali, che in questo caso sono aderenti al tema portante del Festival.

Come accennavi tu poc’anzi, la tua compagnia – Teatro Immediato – è andata in scena poco più di una settimana fa con “Sophie”, per celebrare la Giornata della Memoria. Si tratta di un lavoro che ti vede attivo sia come regista che come interprete, oltre che come autore. Quali sono le caratteristiche drammaturgiche di “Sophie” e quali le esigenze che testo e tematica impongono alla regia?

In Sophie ho tratto la drammaturgia dai veri verbali dell’interrogatorio a cui Sophie Scholl, interpretata da Valeria Ferri, fu sottoposta da parte del poliziotto della Gestapo Robert Mohr da me interpretato. I verbali sono il punto di partenza necessario per creare il confronto. Ma la drammaturgia trova la sua essenza più profonda nella contrapposizione, nello scontro/incontro di due anime, quella profana, ottusa, brutale, eppur fragile del poliziotto, e quella sacra, limpida, smarrita, eppur maestosamente solida della giovane Sophie. La restituzione di questo confronto si realizza attraverso coreografie teatrali che rappresentano gli anelli di congiunzione dei vari interrogatori, diventando parte integrante dell’intera drammaturgia.

Sophie” è dunque uno spettacolo di matrice storica, ma non documentale

Sì, volevo che lo spettacolo fosse un’occasione per ricordare una vicenda storica ed un personaggio poco noto ai più e che, tenendo sul fondo la parte documentale, fosse un vero viaggio claustrofobico di andata e ritorno verso un capolinea posto al di là dei vivi, lontano al tempo stesso dalla morte e pur tuttavia legato immensamente alla vita.

Si tratta di un lavoro che nella storia di Teatro Immediato precede “Caprò”, ovvero lo “spettacolo dei record” per voi, oltre che un piccolo caso in tempi di crisi del teatro.

Sì, Caprò, è la prima tappa della trilogia su “Destino e Destinazioni” a cui hanno fatto seguito Gyneceo e Sutor, tutti scritti da Vincenzo Mambella. È uno spettacolo che a Pescara è stato replicato due anni fa per tre mesi di seguito diventando un vero e proprio caso, e che, dopo aver inaugurato l’edizione 2017 del Festival “Primavera dei Teatri”, è stato presente in numerose rassegne e stagioni teatrali, ricevendo grandi consensi da critica e pubblico, fatto non propriamente consueto per il teatro italiano.

Il pubblico contemporaneo sembra premiare gli spettacoli di parola basati sulla memoria, sia che si tratti di memoria storica e collettiva, sia che si tratti di memoria privata. Penso ad esempi celeberrimi come “Vajont” di Paolini, ai lavori di Mario Perrotta o a quelli di Ascanio Celestini. A tuo avviso, che significato bisogna dare a questo tipo di dinamica?

Hai nominato artisti di cui ho grande stima, con Mario Perrotta in particolare abbiamo collaborato in diverse occasioni. Il merito che hanno avuto questi bravissimi artisti è stato quello di raccontare storie utilizzando l’arte antica della narrazione. L’uomo che incontra l’uomo e che, nella semplicità, attraverso l’uso diretto della parola, stabilisce un contatto emotivo sul filo della parola e della storia.

Non c’è il rischio di un cliché, di una formula replicabile macchinalmente per ottenere il consenso del pubblico? E quali sono – date queste condizioni – gli antidoti per mantenere intatte l’etica e la qualità artistica nel lavoro teatrale?

Sì, questo rischio c’è e trovo che, tra le difficoltà economiche croniche e sempre più profonde del teatro italiano e la narrazione come tendenza consolidatasi, non sempre queste scelte trovano motivazioni artisticamente autentiche. Il lavoro teatrale dovrebbe sempre tenersi a distanza dalle “tendenze e dalle mode” e soprattutto dalla tentazione di praticare scelte facili, che assecondino le aspettative di un pubblico che, come dicevo prima, non bisogna blandire o temere di perdere. Questi sono i tempi del politicamente corretto e il teatro dovrebbe invece cercare di essere sulfureo e possibilmente “scorretto”. Spesso mi capita di vedere nel teatro contemporaneo omologazione travestita da eversione.

Per formazione artistica, tu provieni da un teatro di forte impatto visivo e corporeo – penso alle tue esperienze con la Commedia dell’Arte, la Biomeccanica, il Metodo Costa. Nella tua maturità ti stai orientando verso un’idea più “calda” di spettacolo, meno formale ed estetizzante ma più comunicativa e diretta. Ti riconosci in questo profilo?

Sì, trovo che la tua riflessione sia corretta. A mio parere ogni artista dovrebbe nel suo piccolo cammino trovare ,nel tempo, un senso semplice delle cose e operare di conseguenza per sottrazione. Diciamo che il passaggio dal “barocco al romanico” è diventato per me necessario e naturale con il passare degli anni. Ed è una esigenza che sempre di più accompagna in generale la mia vita.

Torniamo agli spettacoli della tua rassegna. Quali appuntamenti ci riserva la seconda parte de “La Cultura dei Legami” 2019?

Il prossimo appuntamento teatrale vedrà l’attore romano Ariele Vincenti portare in scena domenica 3 marzo lo spettacolo tratto da un testo ancora di Simone Cristicchi, “Le Marocchinate”, sulle violenze dei “liberatori”, truppe marocchine aggregate agli americani, che fecero razzie di vario tipo e soprattutto stupri ed uccisioni di donne italiane.

Generazione XX
Il cast di “Generazione XX” di Anton Giulio Calenda (in scena domenica 24 marzo)

Ultimo appuntamento domenica 24 marzo teatrale “Generazione XX di Anton Giulio Calenda, figlio del grande regista teatrale Antonio Calenda interpretato da una giovane compagnia di attori della scena romana e con la regia di Alessandro Di Murro. La Nazione, territorio immaginario dove l’azione si svolge, è un evidente non-luogo, eppure un altrettanto chiaro rimando alla storia politica e sociale dell’Italia degli anni settanta, quando la classe politica, in nome della salvaguardia della Democrazia, si trovò a risolvere urgenti dilemmi morali attraverso decisioni di cui ancora oggi sentiamo l’effetto ma che già allora rischiavano di risultare un mezzo così pesante da giustificare a stento il fine.

Il Festival, inoltre, come già accennato, si arricchirà ed impreziosirà con il maestro Sergio Oliva, direttore d’orchestra per circa trent’anni dell’Opera di Roma e docente di direzione d’orchestra al Conservatorio di S. Cecilia di Roma, presente per anni nei festival internazionali più prestigiosi, che proporrà una inedita versione cameristica de “I Carmina Burana” di C. Orff con me come voce recitante e “L’opera lirica in jazz su opere di Puccini e Verdi.

Tutti gli spettacoli si terranno presso l’Auditorium Petruzzi di Pescara alle ore 18.00.

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