Scritto nel 1992, L’attesa del drammaturgo Remo Binosi, è diventato un piccolo, grande classico del teatro contemporaneo che strizza l’occhio a Strindberg e Ibsen, a Bergman e a Pinter: edito da La nave di Teseo, è tornato in scena con strepitoso successo sempre sold out nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica di Roma, nella nuova asciutta versione di Michela Cescon alla regia, prodotta da Teatro di Dioniso e Stabile del Veneto. La Cescon rende ancor più scevra la drammaturgia eliminando un terzo personaggio e affidando il testo solo ai due personaggi di Anna Foglietta, l’aristocratica Cornelia, e Paola Minaccioni, la serva Rosa.
Siamo in Veneto, nel Settecento: Cornelia e Rosa sono due donne molto diverse. Cornelia è una giovane aristocratica, viziata figlia del privilegio e prossima alle nozze con un conte che la vuole illibata. Rosa, la sua serva, è una donna pragmatica che ha sempre vissuto nella povertà e che ha fatto dell’esperienza la sua ricchezza.
Due donne che sembrano non avere nulla in comune, ma che si trovano a condividere lo stesso destino che segnerà inevitabilmente le loro vite: entrambe sono recluse in una enorme tenuta di campagna per tenere nascoste la loro gravidanze indesiderate.
Tutto è all’insegna del minimalismo, dalle scene di Dario Gessati, un letto e pochi oggetti, via via coperti da pannelli di legno, ai preziosi abiti in costume di Giovanna Buzzi, eccezion fatta per le parole che scivolano l’una dopo l’altra come un fiume in piena. L’incontro, lo scontro fra due donne del tutto diverse e apparentemente incompatibili, sebbene accomunate dal fatto di essere state diversamente sedotte da Giacomo Casanova, è un dialogo incessante, che passa attraverso la confessione dei propri reciproci segreti in un crescendo inarrestabile di complicità, di affetto che si trasforma lentamente in affetto e attrazione fatale. Il testo, che cambia continuamente registro per avventurasi nella commedia e nel noir non senza colpi di scena, scava nella profonda solidarietà che si instaura fra i due personaggi femminili estremamente empatici in un parabola altalenante di sentimenti umani. L’impegnativo e lungo testo di Binosi viene messo in scena con rigore e forza da Michela Cescon che lascia svolgere l’azione in pochi diversi quadri, senza alcuna pausa.
La Cornelia di Anna Foglietta è viziata e rabbiosa, algida e chiusa in una prigione dorata: a lei viene affidato il racconto sincero di quello che accade grazie al suo diario privato. Fisicamente elegante e altera, l’attrice tende a esaltare ogni tratto aristocratico della sua Cornelia, seppure a tratti appaia un po’ troppo rigida nell’enfatizzare ogni sua parola. Sempre bravissima Paola Minaccioni nei panni della serva Rosa, pragmatica e saggia che ricorda i caratteri goldoniani: anche in dialetto veneto l’attrice è sempre audace nel seguire l’andamento del registro drammaturgico, ora comico, ora più intimo, ora tragico. Uno spettacolo appassionante e rigoroso fino al sacrificio finale destinato a diventare un piccolo classico del teatro italiano.
Fabiana Raponi