Intesa Sanpaolo,
da anni Main Partner di miart, porta alla fiera milanese una vera e propria mostra di cinque giovani artisti emergenti selezionati dal curatore Luca Beatrice. La mostra si terrà presso l’area lounge della Banca (fieramilanocity_MiCo, Viale Scarampo – Gate 5, Pad. 3).
Dall’1 al 3 aprile la mostra “Tra pennelli e immagini virtuali. La pittura italiana nei nuovi anni Venti” raccoglie i dipinti di Paola Angelini, Sabrina Casadei, Rudy Cremonini, Diego Gualandris e Giuseppe Mulas, che, cominciando a lavorare nel nuovo millennio, offrono uno sguardo aperto e inedito sul panorama della pittura italiana contemporanea, attraverso una rilettura globale dei nostri tempi.
Confermata anche la presenza di Intesa Sanpaolo Private Banking, che presenterà, presso l’area lounge del Gruppo, un ciclo di tre incontri su “Arte collezionismo e media” che approfondirà temi di arte e mercato.
Gli appuntamenti sono previsti il 1° aprile alle ore 17.30 con Michele Bonuomo, direttore di Arte, il 2 aprile alle ore 17.30 con Umberto Allemandi, direttore de Il Giornale dell’Arte, e il 3 aprile alle ore 17.30 con Giancarlo Politi, fondatore di Flash Art. Modereranno gli incontri Alberto Fiz e Marina Mojana di Eikonos Arte.
Andrea Ghidoni, Direttore Generale di Intesa Sanpaolo Private Banking, ha così commentato: “Siamo felici e orgogliosi di essere al fianco, anche quest’anno, di miart. Il servizio professionale e qualificato di Art Advisory di Intesa Sanpaolo Private Banking accompagna la clientela nella valorizzazione di opere d’arte e nell’individuazione delle migliori soluzioni alle specifiche esigenze. In un mercato dell’arte in evoluzione e sempre più articolato il ruolo del Private Banker affiancato da specialisti di arte diviene fondamentale nel consolidare una relazione di fiducia sempre più qualificata. Essere presenti in quella che è considerata la prima fiera di settore in Italia, e tra le prime in Europa è un’opportunità ideale per presentare i nostri servizi di consulenza a collezionisti ed investitori”.
Michele Coppola, Executive Director Arte, Cultura e Beni storici, ha dichiarato: “Intesa Sanpaolo rinnova il legame con una delle principali fiere in Italia e in Europa, in linea con la crescente attenzione che riserviamo alla promozione dell’arte moderna e contemporanea. La collaborazione con miart è anche occasione per valorizzare cinque giovani artisti italiani in sinergia con Intesa Sanpaolo Private Banking, oltre che per mettere a disposizione le competenze maturate nella gestione delle collezioni di proprietà. Siamo lieti di dare un contributo nuovo e originale all’importante iniziativa milanese che sottolinea il ruolo di primo piano della città nella produzione artistica e nel mercato dell’arte.”
Intesa Sanpaolo con la realizzazione della mostra “Tra pennelli e immagini virtuali. La pittura italiana nei nuovi anni Venti” condivide con miart 2022 l’attenzione e il sostegno ai giovani artisti emergenti.
Nicola Ricciardi, direttore artistico di miart, ha commentato: “È un’occasione unica poter contare su di un partner come Intesa Sanpaolo, che condivide le nostre stesse idee in merito alla valorizzazione delle nuove generazioni. Questa iniziativa è frutto della piena consapevolezza che solo investendo sui giovani si può costruire una ripresa credibile e duratura, tanto per i galleristi, quanto per gli artisti. Una presa di coscienza che condividiamo profondamente, come dimostra il fatto che proprio quest’anno la sezione di miart dedicata alle nuove realtà — Emergent — sarà per la prima volta posta all’inizio del percorso espositivo, proprio per garantire la più ampia visibilità possibile”.
Il pluriennale legame con miart testimonia il costante supporto di Intesa Sanpaolo allo sviluppo culturale del territorio, con l’obiettivo di consolidare la centralità di Milano nel panorama nazionale e internazionale dell’arte moderna e contemporanea e di offrire alla città un ulteriore volano di crescita e sviluppo economico, culturale e civile.
LA MOSTRA
“Tra pennelli e immagini virtuali. La pittura italiana nei nuovi anni Venti”
Lounge Intesa Sanpaolo, Gate 5, Pad. 3, Miart 2022
A cura di Luca Beatrice
Gli artisti italiani scelti per questo breve spaccato generazionale – o infra-generazionale, i quarant’anni di Rudy Cremonini nato nel 1981, Paola Angelini nel 1983, Sabrina Casadei nel 1985, Diego Gualandris è del 1993 e il più giovane Giuseppe Mulas del 1995 – hanno cominciato a lavorare nel nuovo millennio e infatti non c’è in loro traccia di novecento se non in termini di memoria. Come esistono i nativi digitali per definire il rapporto con la tecnologia, allo stesso modo possiamo parlare di pittori le cui scelte iconografiche sono legate all’ultima grande rivoluzione, in atto in particolare dal 2007, da quando cioè nella nostra vita quotidiana sono entrati gli smartphone cambiando ancora una volta, e c’è chi dice per sempre, il rapporto con le immagini.
Eppure qui si parla di pittura in senso stretto e rispetto ad altri momenti della storia dell’arte alla fine del XX secolo – la Transavanguardia, la nuova figurazione, la pittura mediale degli anni novanta, la pittura fotografica e asciutta dei Non Luoghi – ci troviamo ora di fronte a opere che sono solo e soltanto “quadri”, non invadono lo spazio, non si fanno performance, non amoreggiano con altri linguaggi. Una pittura che si fida di se stessa e non sente il bisogno di salvarsi in corner, rinuncia fortunatamente a quella precisazione altrove indispensabile, ad esempio la mai chiarita differenza tra “fotografi e artisti che usano la fotografia”. Qui non sono “artisti che usano la pittura”, ma più semplicemente pittori, o se preferite pittrici e pittori. Altre considerazioni. Questa degli anni Venti ha perso ogni specificità localista o regionalista – che a ben pensarci è sempre stato il nostro forte – per assumere il necessario tono globale indispensabile ai nostri tempi. Alla domanda: riusciamo a riconoscerne, dallo stile, un’estetica prettamente italiana? La risposta, probabilmente no, e questo vale anche per la Germania, l’America o l’Inghilterra giusto per citare alcuni luoghi dove l’identità artistica nazionale è stata a lungo considerata un elemento di forza.
La pittura, oggi, peraltro non corrisponde più alle griglie novecentesche di figurazione versus astrazione, qui talvolta addirittura compresenti nello stesso quadro. Ci sono dipinti che reggono meglio alla presenza dell’immagine, altri che lavorano sulla struttura, tra segni, gesti, campiture di colore. Pochi, indubbiamente, sono narrativi, al contempo non si applica il dogma dell’aniconico assoluto. Tutto ciò comporta la pressoché totale rinuncia allo stile, che non significa non riuscire a riconoscere il linguaggio di un artista ma togliersi di dosso, da parte sua, quella sicurezza, quella coazione a ripetere che rischia di trasformarsi in cliché. A supporto c’è una sintassi, una grammatica, non un repertorio di immagini e figure. Per definire la pittura italiana dei nostri anni Venti fin qui è stato detto tutto ciò che non è.
Tocca però ragionare ora in positivo, provando a spiegare cosa è. Innanzitutto uno spazio di libertà: gli artisti non si riconoscono in correnti o gruppi, conducono una ricerca individuale (non individualista, anzi c’è un bel clima di collaborazione e stima tra loro), permettendosi il lusso di surfare tra gli stili. È pittura molto contemporanea quando si distacca dalla mimesi con la fotografia, per qualcuno un rifiuto categorico, sia quando rilegge l’universo in chiave fantasy portandolo oltre l’esplosione parossistica in Diego Gualandris. Uno dei termini più consueti nel linguaggio contemporaneo è distopico, comune soprattutto tra le generazioni recenti che faticano a credere in un futuro migliore del nostro presente i cui comportamenti scellerati hanno posto le basi per un mondo decisamente peggiore, che non guarda avanti. Per Gualandris il teatro è una favola, un negozio di giocattoli tenuto a bada e in ordine, che di notte esplode nella più totale anarchia, in una linea continua dal Soldatino di piombo di Hans-Christian Andersen alla serie Pixar Toy Story. È pittura contemporanea quando recupera il passato, mai in chiave di citazionismo postmodernista. Guardi i quadri di Paola Angelini e pensi subito alle esperienze figurative degli anni ottanta – probabilmente condividiamo l’amore per il gigantesco talento di Sandro Chia – di cui però non viene messo in scena il remake né la rilettura quanto un’analisi critica.
Ciò che finisce in un quadro, dal punto di vista del pittore e del critico, corrisponde alla somma degli elementi che vanno a definire ciò che siamo, le immagini sulle quali ci siamo nutriti, con la differenza che mentre un tempo queste definivano una scelta di campo e di stile, oggi costituiscono una sorta di diario emozionale. E a tal proposito l’autobiografismo o l’autofiction, il termine rimanda ancora una volta alla letteratura, si addensa nei dipinti blu di Giuseppe Mulas che raccontano e si trasfigurano in emozioni di vita vissuta, tra visioni notturne e sensuali, la Tragedia dell’infanzia per citare Alberto Savinio (piace molto anche ad Angelini). Pittura di particolari, incontri, libri letti, stati d’animo. E di sfide: perché Rudy Cremonini dipinge vasi di fiori? Cosa può esserci ancora di contemporaneo nel dipingere un vaso di fiori dopo Morandi? Certe questioni non perdono di attualità e la pittura si riafferma ancora una volta come “esercizio di stile” nel senso migliore del termine, alla Raymond Queneau per intenderci. Liberato dal problema de cosa, Cremonini dipinge “pittura figurativa” in assenza di soggetto, un romanzo per immagini quasi privo di personaggi. Né, al contrario, si deve limitare lo sguardo alla pura astrazione di fronte ai lavori di Sabrina Casadei: ciò che osserva e riporta è frutto di un ragionamento sulla natura e sull’ambiente, tra i pochi argomenti che incalzano nella cultura di oggi, segnando, questo sì, un profondo distacco generazionale tra il prima e il dopo.