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Teatro dell’Opera di Roma, Dialogues des Carmélites di Poulenc secondo Michele Mariotti ed Emma Dante

Trionfale apertura di stagione 2022-2023 del Costanzi, straordinaria la direzione di Mariotti, convincente l’allestimento della Dante

Coraggiosa inaugurazione di stagione 2022-2023 per il Teatro dell’Opera di Roma che si affida a Dialogues des Carmélites di Francis Poulenc: un successo non solo in occasione dell’affollatissima prima, ricca di personalità, ma anche per le successive repliche, che sfiorano quasi il sold out.
Un’inaugurazione coraggiosa e premiata da critica e pubblico (l’opera era stata rappresentata solo nel 1958 e nel 1991) che segna il doppio esordio di Michele Mariotti come direttore musicale del Teatro e di Ciro Visco al Coro (che succede a Roberto Gabbiani) e il ritorno di Emma Dante alla regia in una importante coproduzione realizzata con la Fenice di Venezia.

Perfettamente a suo agio Michele Mariotti con l’Orchestra regalando omogeneità di ascolto sfiorando la perfezione di uno dei capolavori del Novecento: la tinta musicale della lunga opera, in realtà sconosciuta ai più del pubblico, diventa un avvincente e commovente affresco che mescola tanti compositori diversi, proprio come scrive Poulenc che ha dedicato la partitura “alla memoria di mia madre, che mi ha dischiuso alla musica, di Claude Debussy, che mi ha donato il gusto di scriverla, di Claudio Monteverdi, Giuseppe Verdi e Modest Musorgskij, che mi sono serviti da modello”.

Mariotti regala un’interpretazione che resta sempre di altissimo livello nel corso delle tre ore di musica, sempre ottimamente sostenuto da tutte le singole parti dell’Orchestra. Una direzione musicale che ben sostiene le scelte registiche di Emma Dante, e tutti i momenti drammatici e di tensione della partitura esaltando i suoni più forti quando occorre, ma soprattutto mantenendo con ariosità e cura le sfumature della dolcezza, della gravità e della meditazione di questa musica.

La storia, vera, è quella del martirio di sedici suore del Carmelo di Compiègne ghigliottinate il 17 luglio del 1794 a Parigi durante il Terrore, ree di non aver voluto rinunciare ai loro voti: una storia che ha ispirato nel 1931 la novella Die Letzte am Schafott (L’ultima al patibolo) di Gertrud von Le Fort, poi nel 1947 è diventata la sceneggiatura per film con i Dialogues di Georges Bernanos. Da lì, la genesi dell’opera affidata dall’editore Ricordi a Poulenc e completata nel 1953.
Strepitosa Corinne Winters, soprano americano già Butterfly al Circo Massimo la scorsa estate, nel ruolo di Blanche de La Force, creatura impaurita e fragile, dalla voce morbida e sempre intensa che ritrova la sua forza fino al sacrificio finale, insieme alle consorelle, abbandonata sulla croce.
Brava, bravissima, semplicemente grandiosa, è Anna Caterina Antonacci (già ne La voix humaine di Poulenc al Costanzi e nel 2017 e nello stesso ruolo diretta anche da Mariotti a Bologna) nel ruolo di una autoritaria e intensissima Madame de Croissy, combattiva anche se in procinto di morire e tragicamente tormentata dal dubbio della morte. Una interpretazione eccezionale, nella voce e nella recitazione, che la rendono protagonista di scena visivamente potente, avvolta in quella che sembra una camicia di forza di colore rosso.
Ma tutto il cast è brillante.
Il gruppo di donne, nella loro omogeneità di carmelitane, spiccano ciascuno nelle loro peculiarità e nelle loro caratteristiche, nel loro carattere: Ewa Vesin è l’energica nuova priora, Madame Lidoine, la russa Ekaterina Gubanova è la severa Mère Marie de l’Incarnation, il soprano Emöke Baráth è la vivace suor Constance de Saint-Denis. Eleganti il Marquis de la Force del baritono JeanFrançois Lapointe e il tenore Bogdan Volkov nel ruolo del nobile Chevalier de la Force, fratello di Blanche stretto a lei in uno struggente addio. Peccato che qualche volta la sua voce sia poco chiara per il pubblico.

«Chi erano le carmelitane prima del voto? Che tipo di donna si cela dentro la loro tunica da suora? Chi, come le carmelitane ha deciso di votare la propria vita al sacrificio, rinunciando ai beni materiali, praticando la penitenza e l’astinenza dai piaceri terreni, all’inizio di tutto è stata una donna, sensuale, curiosa, combattente, vanitosa, amante della bellezza e della spensieratezza” si chiede Emma Dante pensando a un’opera del tutto femminile con l’idea di indagare il desiderio di scoprire la vera intimità delle protagoniste.
L’allestimento proposto è di carattere atemporale, sempre essenziale, con le scene all’insegna della semplicità di Carmine Maringola, ma connotato di tante scene molto forti. Le scene, pur nella loro semplicità, restano sempre di prepotente impatto visivo, con i grandi lampadari a vista, i domestici in azzurro con le piume, la ricchezza degli abiti in casa de La Force.
Sempre potenti le soluzioni proposte, dalle scene del crocifisso (con Cristo fra uomo e donna) con le suore che si muovono ai suoi piedi (movimenti coreografici di Sandro Campagna) e che torna nel finale proprio con Blanche crocifissa alla vestizione di Blanche, dalla morte di Madame de Croissy fino al commovente finale che non riesce a lasciare indifferenti.

I brividi corrono lungo la schiena quando le suore che non hanno voluto rinunciare alla fede scegliendo la morte, intonano il canto finale, sempre più flebile ogni volta che si ode l’agghiacciante lama tagliente della ghigliottina (riprodotto con la lastra in metallo) che giustizia l’una dopo l’altra le sorelle.

Le luci divine di Cristian Zucaro che seguono la scena con i costumi di Vanessa Sannino, essenziali, ma che anticipano il martirio delle sorelle, che indossano un abito – armatura e dei copricapi con l’aureola lasciando subito intuire il loro tragico destino di martiri.
Muovendo da due idee di fanatismo, quello rivoluzionario e quello religioso che poco legano ma che risultano essere antitetici, Emma Dante porta in scena un allestimento all’insegna delle donne che si apre (e si chiude) proprio con i quadri e le cornici delle donne dipende da David. “Ispirandomi ad alcuni ritratti di Jacques-Louis David che raffigurano donne nude dai capelli ricci, o altre succinte con il corpo appoggiato su morbidi cuscini, ho immaginato le origini delle carmelitane – dice Emma Dante – attraverso la semplicità e la loro bellezza di donne, mettendo da parte il rango sociale, e mostrandole, come nei dipinti settecenteschi, esclusivamente per le loro qualità”.
Quadri che adornano la casa aristocratica di Blanche e che simboleggiano le donne che erano prima le carmelitane prima di diventare tali. Cornici che diventano ora porte delle celle, ora porte della prigione, ora patibolo in quello che è a ragione considerato fra i più bei finali dell’opera lirica.

L’allestimento della Dante resta sempre molto coerente gettando una luce sulla quotidianità delle carmelitane, sulle loro vita, le loro paure e i loro timori di donne in un’opera dai ritmi contemplativi dove poco accade nonostante il serrato taglio cinematografico delle scene. Si deve imparare ad accettare la morte e a non avere paura della morte considerandola qualcosa di naturale, insegnano le carmelitane e questa opera che mantiene sempre alta la tensione emotiva dello spettatore per un finale drammaticamente preannunciato.
Un’apertura di stagione che non si lascerà dimenticare facilmente mettendo le basi di un nuovo corso, anticipando anche le prossime quattro inaugurazioni dirette da Mariotti, Mefistofele di Arrigo Boito firmato da Simon Stone, al suo debutto in Italia nell’opera, nel 2023. Simon Boccanegra di Giuseppe Verdi messo in scena da Richard Jones nel 2024. Lohengrin con la regia di Damiano Michieletto nel 2025 che affronta Wagner per la prima volta.

Anticipare le inaugurazioni dei prossimi anni significa presentare la nostra progettualità, ma conferma anche il nostro intento di effettuare un cammino che affonda le proprie radici nella concezione di quanto sia importante fare teatro adesso – le parole di Michele Mariotti – Si tratta di una stagione messa a punto in brevissimo tempo anche grazie a una totale condivisione di ideali. Il nostro teatro deve essere lo specchio della nostra realtà pur potendo offrire la possibilità di evadere. È una stagione coraggiosa che non si limita al conosciuto, ma che pone delle domande e che vuole stimolare e incuriosire il pubblico. Il teatro proprio come specchio della realtà”.

Prossimo appuntamento con l’apertura della stagione di danza con il Don Chisciotte con la coreografia di Laurent Hilaire ripresa da Gillian Whittingham, in scena dal 18 dicembre.

Fabiana Raponi

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