Che notte… quella notte di Carlo Auteri con Patrizia Pellegrino e Enrico Guarneri regia di Antonello Capodici debutta martedì 19 febbraio 2013 alle ore 21,00 al Teatro Manzoni di Roma.
E’ l’ultimo dell’anno del 1936, nella sperduta (ed immaginaria) stazioncina siciliana di Montefranoso. Il capostazione Saverio, ormai ben oltre i limiti dell’età pensionabile, trascina le lunghe e solitarie notti del turno restaurando vecchi Pupi siciliani. Insieme a lui, il nipote Liborio : giovane ferroviere desideroso di compiacere il “regime” nella speranza di fare carriera. Regime rappresentato, nell’immaginario della commedia, da Fofò : specie di vitellone, più impegnato a cercare “femmine” che nella causa del fascismo
Fofò millanta da due mesi una fantastica avventura erotica con una “soubrette” romana : Saverio e Liborio non ci credono granchè.
Ma proprio la notte di capodanno (“quella” notte) … la ragazza, incredibilmente, arriva a Montefranoso.
Si chiama Caterina, fa la ballerina in modeste produzioni di Varietà e sopravvive, come può, alla disillusione della vita e del mestiere.
Fofò, che bovinamente pensa sia venuta a cercarlo solo perché “follemente innamorata”, non vede l’ora di rimetterla sul primo treno in partenza e liberarsi, definitivamente, di lei.
Solo che il “primo treno” è un “postale”, con fermata a richiesta che transita poco dopo mezzanotte.
Saverio e Caterina ( il vecchio e la ragazza, la “continentale” ed il siciliano, la ballerina-poco-più-che-una-puttana e l’eterno provinciale sognatore) iniziano così un’attesa carica di solidarietà e delicatezza. Un lungo flusso di confessione e svelamento, che li porta ben oltre la soglia della conoscenza casuale. Il seme di una specie di amicizia; un accenno bizzarro di innamoramento.
E così il treno – appena dopo l’inizio del nuovo anno – passa senza fermarsi, e Caterina non riparte.
Fofò, che nel frattempo è andato in paese alla “festa” dei notabili, scoperta la mancata partenza, torna alla stazione : è l’epilogo dell’incomprensione. Persino della minaccia. Il pingue casanova di provincia si svela per ciò che è in realtà : un brutale ed ottuso fascistello, avido di privilegi e terrorizzato dall’idea dello scandalo.
E’ l’epifania della violenza; Caterina svela finalmente il motivo vero di quella apparizione : è incinta di Fofò.
Fofò, al culmine della rabbia, aggredisce Caterina : lo stupro – con la complicità di Saverio e di Liborio – qualificherebbe la donna per quello che tutti voglio che ella sia : una puttana. Una che “se l’è andata a cercare”. Con un marchio simile, Fofò pensa si allontanerebbe la minaccia del figlio illegittimo.
Al culmine della violenza, però, è Saverio a dire di no. Il mite, il sottomesso, il vecchio Saverio che ha – per la prima volta in vita sua – il coraggio di imbracciare un’arma e dire “no”. Un “no” alla mostruosità della violenza ed alla sua cieca stupidità. Un “no” alle convenzioni, ai marchi, e persino alle divise. Un “no” alla morte.
E’ la comparsa del Podestà del paese (anche suocero di Fofò, per altro) a sancire la soluzione della vicenda : come in una sorta di “deus ex machina”, egli garantirà la salvezza di Caterina e del bambino che nascerà. Entrambi andranno a vivere lontano, insieme a Saverio ed alla moglie, per crescere il figlio che questi non ha mai avuto.
NOTE: Fino agli anni quaranta, era presente, in Sicilia, una rete ferroviaria secondaria, che si snodava a complemento di quella principale; che è poi quella rimasta – sostanzialmente – immutata fino ad oggi. L’aveva costruita il governo crispino e serviva per raggiungere le zone più remote dei latifondi. Era una piccola geografia di binari a “scartamento ridotto”; punteggiata da minuscole stazioni sperdute nella vastità desolata della campagna isolana. Erano affidate a due, massimo tre persone. Vi transitavano pochi convogli, e pochissimi vi si fermavano. La clientela dei viaggiatori era formata per lo più da commercianti e “senzali”. Qualche volta persino da contadini, ma pochi, giacchè persino il biglietto di “terza” risultava di gran lunga superiore alle modeste possibilità dei braccianti e dei “giornatari”. Il Fascismo cercò, con risultati assai modesti in verità, di migliorare questo piccolo sistema ferroviario interno; così come aveva cercato di ammodernare quello più ampio della nazione. Rimase però una battaglia difficile non solo da vincere, ma persino da combattere : la Sicilia era – per molti aspetti – infinitamente più arretrata persino delle colonie africane, che proprio in quel periodo s’andavano conquistando. Era un mondo cieco al presente e sordo al progresso; stupidamente infatuato dell’orgoglio nazionale che la propaganda imponeva : ma infatuato alla lontana, come un vago sentimento esotico invero lontanissimo dai gravami concreti della vita reale. Rimanevano le lucine fioche delle lanterne e la vastità del cielo estivo, che a notte si riempiva di luminescenze, come i fuochi fatui riempiono i cimiteri.
La vicenda di Saverio e di Caterina, così piccola e così marginale rispetto alla Grande Storia che di lì a poco travolgerà l’Italia ed il Mondo, assume l’aspetto della metafora perfetta : nel mezzo del nulla, un uomo si oppone alla violenza. E tanto più questa violenza resterà impunita, tanto più opporvisi diventa una questione determinante. Ed anche se a subirla è – in fondo – una donna senza importanza, le vittime sono – in realtà – le donne “tutte”. Più ancora : a subirla sono gli “esseri umani”.
Saverio è vecchio e stanco, desidera solo la solitudine e la lontananza remota della sua stazione, ma non può lasciare che questa violenza, semplicemente, “sia”. Che accada. E’ cosciente, come dice il personaggio del “cattivo” Fofò, che arrivi per tutti – prima o poi – il momento di dire “no” se si deve “dire no”. Anche se da questa risposta può dipendere la tua sorte e persino la tua vita. Dire “no” a questo “piccolo stupro”, significa dire “no” a tutti gli stupri possibili. Dire “no” alla violenza ed alla sopraffazione.
Ed anche se la commedia si svolge a tanta distanza da noi, nel tempo e nello spazio, purtroppo, i fatti che ogni giorno leggiamo sui giornali, o che vediamo in televisione ce ne restituiscono – intatti – l’orrore e l’urgenza.
Ogni giorno, questa violenza (soprattutto sulle donne e sempre contro di esse) avrebbe bisogno di un “no” messo di traverso sui binari delle nostre “moderne” società. Il “no” delle nostre coscienze. ANTONELLO CAPODICI
TEATRO MANZONI
VIA MONTEZEBIO , 14 /C 00195 ROMA
Tel. 06 3223634