Lo spettacolo delle contrapposizioni e dei conflitti: il bene e il male, il benessere e la povertà, il cinismo e la comicità, la classe politica ed il popolo, il motorino e lo “scooterone”, Aurelio e Claudio, Valerio Mastandrea e Valerio Aprea.
Gli spettatori in sala si trovano catapultati in una strada di aperta periferia, dove due uomini alla guida di uno scooter hanno appena avuto un incidente: Claudio (V. Aprea) e Aurelio (V. Mastandrea), si sono appena scontrati.
Inizia così, con questo scontro-incontro, lo spettacolo di Mattia Torre (co-sceneggiatore di tre stagioni di Boris, e già regista dei due “Valerio” in altre pièces quali “Migliore” e “In mezzo al mare”), con quel “duello metropolitano, ansiogeno e comico insieme, che ben rappresenta l’Italia dei nostri giorni” (come afferma l’autore stesso durante un’intervista).
L’idea di fondo dello spettacolo è quella di rappresentare metaforicamente la collisione tra due mondi, tra due spaccati della nostra società, tra due modi di vivere e di essere, il tutto reso in maniera particolarmente brillante, da Mastandrea e Aprea che, in un’ora e quindici minuti, portano la drammaticità della situazione ad un alto livello comico di scontro civile ed ideale. I due, nell’attesa vana dei soccorsi, si contrappongono sui loro status quo, facendo del sarcasmo l’ingrediente principale di questa mise en scéne.
“Qui e Ora” è una commedia dell’inganno e dei conflitti esasperati, dove niente è lasciato al caso (neppure l’incidente stesso), dove la prepotenza e la superbia del borioso e supponente Aurelio, cuoco di fama nazionale grazie ai suoi programmi televisivi e radiofonici, vengono annientate (letteralmente) dalla sfogo di Claudio, disoccupato, separato, con un figlio piccolo e ideale rappresentante dell’uomo comune di oggi.
Valerio Mastandrea dà vita ad un personaggio ambivalente, grazie alla sua interpretazione istrionica di sempre, che lo spettatore ama e odia allo stesso tempo, mentre Aprea, artista eclettico con solide radici nel teatro, attira fin da subito le simpatia della platea, che parteggia per lui, per il “bene” sin dall’inizio, fino al colpo di scena finale.
Al pubblico spetta l’arduo compito di definire cosa è il bene e il male, chi li rappresenta veramente, e chi ne esce “con la palla al piede”.