“Che abisso”. È questo che Romeo Daddi dice guardando negli occhi chi gli sta intorno. Uno sguardo profondo e nitido, il suo, che spoglia di ogni difesa.
Lo spettacolo si apre con la preoccupazione degli amici più cari e della moglie Bice, smarriti e incapaci di dare una spiegazione alle strane parole e agli ancora più assurdi comportamenti del Daddi. Temono che lui stia impazzendo, di gelosia pare. Tuttavia il Daddi è il primo a rassicurarli. Lui non è pazzo, tutt’altro. Non è mai stato tanto lucido e presente a se stesso.
D’un tratto ha iniziato a vedere. Il suo sguardo si è liberato di ogni filtro. Ma com’è stato possibile? Cosa ha originato tutto questo? L’incontro con la debolezza e l’irrazionale, ammette. È l’incontro con la parte più intima del nostro animo, con le pulsioni che si celano in profondità e neppure conosciamo. Questo permettere di vedere tutto con più chiarezza. Il Daddi se n’è convinto dopo aver ceduto ad un attimo di passione per Ginevra, moglie dell’amico Giorgio. La consapevolezza di aver commesso un simile atto, per un uomo retto e rispettoso come lui, può essere un gran peso da sostenere. Il Daddi se ne discolpa. Ma è giusto parlare di ‘colpe’?.“Non ero stato io, non ne sapevo nulla, non lo avevo voluto”, dice. E poi aggiunge: “Io non ero più nel mio corpo”. Ecco, dunque, dove ha origine la sua ‘follia’. Da un atto compiuto irrazionalmente e del quale di conseguenza non si sente responsabile, perché non averlo voluto, oltre a non implicare delle colpe, ne elimina l’esistenza.
Origine e tema centrale dello testo di Pirandello è, dunque, il rendersi conto di quanto sia facile commettere un atto che forse può rivelarsi una colpa, senza averne però la responsabilità perché tutto è avvenuto ‘non si sa come’, fuori dalla coscienza di chi lo ha compiuto.
Convinto di ciò, il Daddi, interpretato da un abile ed incisivo Sandro Lombardi, è spinto dall’irrefrenabile desiderio di scovare i ‘delitti innocenti’ degli altri. “Ho bisogno di credere che possa accadere a tutti”. Prende il via così un’indagine per “sapere, scusare, comprendere”; un’indagine priva di mezzi termini che alimenta il tormento degli altri personaggi. Un crescendo di confessioni, sogni, aspirazioni, che trascina tutti in una folle corsa verso l’autodistruzione delle proprie volontà.
Gli interpreti della Compagnia Lombardi – Tiezzi, diretti dal regista Federico Tiezzi, sono abili nel tradurre con immediatezza un testo complesso che necessità un ascolto attento, rendendolo fruibile. Gli scambi di battute sono dinamici e feroci e fanno da contraltare ai minimali movimenti che gli attori compiono sul palcoscenico. È il linguaggio, infatti, lo strumento attraverso cui i personaggi affermano la propria esistenza.
Nella sceneggiatura dominano toni cupi come il rosso ed il nero. Solo i volti sono illuminati e risaltano, bianchi e pallidi, nell’oscurità che la fa da padrona. Un modo per dar spazio all’indagine dell’animo umano, ma anche per isolare i personaggi. Anche se sono tutti insieme sulla scena, infatti, ognuno è solo con se stesso, con il proprio animo, con quello che di sé conosce e con quello che, al contrario, non sa. Tuttavia, è un’oscurità che durante lo spettacolo si dirada. Via via che i personaggi acquisiscono consapevolezza e fanno chiarezza in loro stessi, la luminosità aumenta fino a giungere al tripudio di luce che sul finale irradia tutti, anche il pubblico.
Un testo complesso, dunque, che va seguito con attenzione. Quello a cui si assiste non è certo uno spettacolo spensierato e distensivo. Ogni parola è ben studiata per dar vita ad un’opera che rappresenta un’ulteriore prova di quanta energia Pirandello abbia riposto nell’ascolto dell’animo umano e nell’analisi di ogni sua sfumatura. Non si sa come passerà alla storia come il suo ultimo testo compiuto e sebbene sia stato scritto nel 1934 si dimostra ancora oggi attuale. Un testo che si rivela una delle più alte testimonianze di scrittura volta a dimostrare come ciò che noi conosciamo di noi stessi non è che una minima parte di quello che siamo realmente.