È uno dei pochi comici di razza in circolazione, irriverente e rivoluzionario, incontenibile e scomodo, forse l’ultimo degli ultimi grandi Arlecchino (che ha rivisitato in versione moderna su suggerimento di Strehler, uno dei suoi maestri), della scena italiana: Paolo Rossi torna al Teatro Vittoria, suo teatro romano d’elezione, con il suo Delirio organizzato di pubblico. Il sottotitolo dello spettacolo (Laboratorio teatrale serale) che si apre sulle note di Back in the USSR dei Beatles e di Sex Machine di James Brown, in realtà la dice lunga sulle dinamiche della serata come sempre all’insegna della contaminazione: Delirio organizzato si presenta immediatamente come uno spettacolo in fieri che appare inevitabilmente diverso una sera dopo l’altra.
Al centro della scena, fra l’accompagnamento musicale de I Virtuosi del Carso (Alex Orciari e Stefano Bembi), e l’immancabile spalla di Emanuele Dell’Aquila (autore anche delle musiche) spadroneggia un moderno Arlecchino con la giacca nera tappezzata di post it colorati dove vanno e vengono appunti. Incontenibile mattatore un po’ disincantato, un po’ cinico, un po’ sognatore, Paolo Rossi inanella con il suo piglio irriverente alcuni dei suoi monologhi e pezzi storici del suo repertorio arricchito da aneddoti di vita vissuta.
Lo spettacolo come sempre accade con Paolo Rossi è sempre imprevedibile come fosse un vero e proprio happening, un work in progress: mescola serissime serissime lezioni di teatro che vanno da Goldoni a Shakespeare, Beckett, un po’ di sanissima improvvisazione, agli spassosi aneddoti di vita vissuta passando attraverso i ricordi dei suoi storici maestri, da Enzo Jannacci a Giorgio Gaber, fino all’insegnamento sulla nobile arte di raccontare le barzellette, ma senza nascondere neppure le proprie umane debolezze. Paolo Rossi è un comico di razza, padrone del palcoscenico che ironizza senza ritegno sulla politica (che si tratti di Berlusconi o di Renzi poco importa) che si beffa della società e dissacra anche della morte (assoluta priorità per un comico) attraverso un onirico viaggio nell’aldilà, incarnando al meglio la funzione quasi taumaturgica dell’attore in uno spettacolo giocato sull’alternanza continua di registri fra il serio e il faceto. Un vero e proprio viaggio sulle montagne russe. In scena fino al 19 aprile al Teatro Vittoria di Roma.