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Arlecchino, il servitore di due padroni

Foto di Serena Pea
Foto di Serena Pea

Personaggi e interpreti:

Pantalone de’ Bisognosi: Eleonora Fuser

Clarice: Marta Meneghetti

Il dottore Lombardi: Michele Mori

Silvio: Francesco Folena Comini

Beatrice, torinese, in abito da uomo, sotto nome di Federigo Rasponi: Laura Serena

Florindo Aretusi, torinese: Stefano Rota

Brighella, locandiere: Anna De Franceschi

Smeraldina: Irene Lamponi

Arlecchino, facchino: Marco Zoppello

Fisarmonica: Veronica Canale

Regia e adattamento: Giorgio Sangati

Scenografia: Alberto Nonnato

Costumi: Stefano Nicolao

Maschere: Donato Sartori – Centro Maschere e Strutture Gestuali

Luci: Paolo Pollo Rodighiero

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Goldoni Experience, dopo Affresco di Venezia (leggi la recensione), prosegue con Arlecchino, il servitore di due padroni curato da Giorgio Sangati. Mentre lo spettacolo di Emiliani riflette sull’urbanità goldoniana e declina sull’invocazione a Venusia regina, rito profano di rigenerazione e sposalizio col mare creato da Zanzotto per Casanova di Fellini, Il servitore ci riporta invece nel mondo della commedia dell’arte. Scriveva Luigi Ferrante come Goldoni svestisse Arlecchino – nel testo Truffaldino, una delle sue plurime identità – di quei caratteri diabolici e ferini, connotati d’antica origine, per rivestirlo di qualità civiche tipiche della cultura illuministica. Non più un greve dedito solo a placare la fame di cibo e di sesso, ma un uomo contrario agli intrighi in cui inevitabilmente cade sbrigando due padroni, favorendo a sua insaputa il dipanarsi della trama. L’adattamento di Giorgio Sangati rimane però ancorato a una visione volta a mettere in luce l’energia vitale del personaggio, artefice di un vortichio recitativo a tratti troppo frenetico, periodicamente interrotto dalla fisarmonica di Veronica Canale e da canti del repertorio popolare italiano. Sangati ha scelto per protagonista il rosso Marco Zoppello che, rifacendosi alla tradizione medievale degli harlequins, di cui la maschera in cuoio disegnata da Donato Sartori rievoca la probabile discendenza, conferisce una carica erotica non indifferente al servitore, grazie ai capelli arruffati, alle movenze feline e alla voce cavernosa. Il costume, ideato da Stefano Nicolao, recupera l’indefinitezza natale e fascia Zoppello dentro cenci di tela colorati dalle forme imprecise, com’era in origine e non nella successiva versione a losanghe ordinate, accentuandone la sensualità.

Decisamente originale l’idea di Brighella e Pantalone en travesti, rispettivamente Anna De Franceschi, dall’ottimo timbro squillante e dall’irresistibile gestica comica, e Eleonora Fuser, veterana del settore che col suo perfetto venexian dà corpo a un vecchio burbero, ma di buon cuore. Clarice spiritosa quella di Marta Meneghetti, come spigliata è Irene Lamponi nei panni della sua cameriera, Smeraldina. Giustamente stizzito e su di giri il Silvio di Francesco Folena Comini, mentre il dottore Lombardi di Michele Mori è un omaggio alla Toscana ove Il servitore vide la luce. Manca di temperamento la Beatrice di Laura Serena, come relegato a macchietta è il Florindo di Stefano Rota.

Le scene di Alberto Nonnato constano di tavolati lignei, delimitanti i diversi ambienti, e di tre bauli impiegati come porte da cui sortiscono gli attori. Le luci di Paolo Pollo Rodighiero sono sfruttate in maniera tradizionale, volte a sottolineare i momenti salienti del testo.

Il pubblico, anche straniero grazie ai soprattitoli in francese e inglese, segue attento e si diverte, perché la risata, si sa, è contagiosa.

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