Poetico e struggente. Charlot e il suo piccolo monello rivivono sul palcoscenico nella trasposizione teatrale ideata e adattata da Lorenzo Cognatti, che ne cura anche la regia. Delicato ed emozionante per gli adulti che conoscono la storia e per i bambini che lo percepiscono come la raffigurazione di una favola a lieto fine, lo spettacolo mette in risalto la gestualità mimica, privo com’è delle didascalie presenti nel film.
The Kid (Il Monello) è un film muto del 1921, primo lungometraggio girato da Charles Chaplin e da lui scritto, prodotto e interpretato. La poesia che lo pervade, l’esaltazione dei buoni sentimenti lo hanno reso un classico assoluto, uno dei capolavori della cinematografia mondiale.
L’allestimento fa qualche riferimento alle vicende personali di Chaplin nel lungo periodo di realizzazione del film, dovute alle difficoltà con i produttori e alla profonda crisi familiare. La rappresentazione, infatti, inizia con due operai degli Studios cinematografici che svuotano un magazzino trasportando pile di bobine di pellicole di celluloide con circospetta attenzione per non danneggiare quel materiale deteriorabile e infiammabile. Quando qualche bobina si srotola ne fuoriescono immagini e musica, e viene prontamente riavvolta. Una, soggetta a una maggiore forza centrifuga, si srotola di più e le immagini si materializzano sulla scena.
Davanti alle finestre di un palazzo una donna stringe un fagottino che deposita, titubante, su un muretto allontanandosi angosciata. Charlot giunge con la sua caratteristica goffa andatura, mentre si accende la sigaretta nota il neonato abbandonato, lo prende in braccio e trova tra le fasce il biglietto della madre disperata. Decide di tenere con sé il bambino e lo porta nella sua misera dimora.
Passa qualche anno, il vagabondo coinvolge l’inseparabile monello nei suoi stratagemmi per sbarcare il lunario: il bambino lancia il sasso contro le finestre, poco dopo passa il vetraio con aria disincantata e ripara il danno. Dietro l’angolo il poliziotto vigila e tenta di agguantare il moccioso, che sgattaiola fulmineo. Così si susseguono inseguimenti e beffe, finché la madre, adesso piuttosto agiata, si imbatte nel bambino e lo riconosce.
Di struggente liricità la scena della visita del dottore al bambino malato, che si aggrappa al collo del padre per sottrarsi al tentativo di allontanamento, con le sagome dei tre protagonisti proiettate come ombre cinesi sul velatino del fondale, in un cerchio di luce. Le scenografie sono di Alessandro Chiti-Laboratorio Jobel, le luci di Mariachiara Sammartino, i costumi di Fiome & Kamila Sarkova.
Prodotto da Jobel Teatro, lo spettacolo, omaggio all’arte e alla vita di Chaplin, ha vinto la sesta edizione della Rassegna “Salviamo i talenti – Premio Attilio Corsini 2014” e il “Premio Giovani Vincenzo Cerami 2015”. Presentato inizialmente come “Piccolo vagabondo” ha successivamente ottenuto la concessione dei diritti di rappresentazione dalla famiglia Chaplin e adottato il titolo originario.
I protagonisti, magicamente rispondenti ai personaggi del film, sono quattro virtuosi della danza e della pantomima: Brian Latini (il vagabondo), Francesca Di Franco (la donna), Roberto Fazioli (il poliziotto, il bullo, il dottore) e il piccolo Gabriele Davoli che esprime tutta la gamma dei sentimenti che un bambino può provare con naturale padronanza della scena, perfino quando si presenta alla ribalta nel finale per ricevere gli applausi cercando lo sguardo paterno del suo “vagabondo”.
L’ultima parola al regista: “Qualche anno fa mandai alcuni membri della mia compagnia a studiare l’arte del mimo moderno all’estero fra Polonia, Germania e Francia, per poter apprendere l’arte dell’espressione senza parola. La pantomima si disegna sulla musica, è quasi una danza popolare, con codici universali, in un linguaggio non sonoro ma visuale, in cui la trama può scorrere nell’immaginazione di ogni spettatore”.